La Favela Verticale L’Apocalisse della Società a Forbice
Nel buio delle torri, là dove la lingua è imprigionata, sono le azioni a gridare, a urlare attraverso il linguaggio brutale della violenza. Qui manca il pensiero, la capacità di riflessione, il lusso di dilazionare gli impulsi distruttivi. La pulsione, libera da mediazione e controllo, si riversa in azioni che parlano il linguaggio della disintegrazione sociale.
Siamo testimoni di una società a forbice, una verticalità che alimenta la frustrazione, scatena la competizione sfrenata e genera esiti che vanno dall’aggressività alla violenza pura. L’orizzontalità è solo un’illusione, un termine gettato alle masse per placare le loro rivendicazioni, mentre assistiamo all’assalto ai Talent televisivi, l’ultima speranza di sfidare le caste sociali.
La politica delle torri, incarnata dai Boschi Verticali, sta trasformando il resto della città in una favela verticale. Il divario sociale cresce, alimentando la rabbia, la paranoia e dando vita a reazioni populiste. Gli ideologi di questi progetti contribuiscono indirettamente alla disintegrazione del tessuto sociale, regalando terreno fertile alle destre emergenti.
Questa società verticale favorisce l’aggressività e la violenza, pur nascondendosi dietro il velo dell’orizzontalità promesso dalla Rete. L’illusione di democrazia, partecipazione e uguaglianza si dissolve nell’esclusione, nella fame e nell’aggressività crescente.
Nel buio delle torri, la rabbia cresce come un fuoco incontrollato, alimentato dalle promesse mancate e dalle disuguaglianze evidenti. La favela verticale si erge come l’apocalisse della società a forbice, una distopia dove la lingua è muta, e le azioni disperatamente urlano contro un sistema che ha perso il senso della sua stessa umanità.
A view on a heavy smoke from a 15-storey building fire in via Antonini, in the southern suburbs of Milan, Italy, 29 August 2021.
ANSA/PAOLO SALMOIRAGO
Torri Ardenti: Il Crepuscolo dell’Estetica Milanesa
Nel crepuscolo dell’estetica “milanesa”, il rogo della Torre dei Moro di via Antonini a Milano (29 agosto 2021) si erige come una fiamma che brucia oltre la superficie, chiedendo un’analisi urbanistica sulle torri, diventate una sorta di icona di una nuova ideologia.
La causa del rogo, ancora avvolta nell’ombra delle indagini, sembra legata al rivestimento esterno, una decorazione frivola che mette in discussione l’immaginario cui oggi risponde il canone estetico di Milano. La città, una volta simbolo di concretezza e pragmatismo, ora si staglia come icona del superfluo, dell’effimero, destinato a essere divorato da falò delle vanità simili.
La struttura, con un costo oscuro tra i 5 e gli 8 mila euro al metro quadro, sorgeva in estrema periferia, sollevando interrogativi su quale tipo di città stia emergendo con tali interventi. Gli appartamenti, con prezzi sproporzionati, si perdono in grattacieli eretti nel nulla. Che tipo di città può emergere da questo sfoggio di lusso eccessivo?
Nella Milano che abbraccia l’effimero e disprezza la conservazione, tutto sembra destinato a scomparire, come un breve spot pubblicitario. Cosa accadrà al tradizionale passaggio di testimone tra vecchi e giovani, quando anche gli alberi e i simboli secolari saranno divorati dal fuoco delle vanità?
Giovanni Maria Flick, nell’Elogio della città, interroga il destino dei vecchi alberi e simboli. Cosa rimarrà di quei ponti tra significati, in un territorio invaso da segni, graffiti e scarabocchi? La Milano delle torri ardenti sembra sfidare non solo il fuoco fisico, ma anche il fuoco distruttivo dell’effimero e del superfluo.

Società proletaria e Bosco Verticale

Città delle Torri: Il Declino dell’Umanità Urbana
Nel crepuscolo dell’umanità urbana, l’ideologia delle torri si fonde sinistramente con l’impatto sociale della pandemia, trasformando le città in scenari apocalittici. La velocità del virus sembra un presagio della rapida favelizzazione urbana, mentre la necessità di evitare il contatto umano sottolinea la desolante realtà delle torri: silenziose, impersonali e senza vita.
Il concetto di “vivere la torre e non il quartiere o la città” è una triste dichiarazione della solitudine moderna. Le torri, erette come monumenti al profitto, sono testimoni dell’aspra lotta tra l’aspirazione alla convivenza e la corsa al guadagno nelle città globalizzate. La società è divisa tra gli inamovibili, i produttori concorrenziali e gli esclusi, una tripartizione che minaccia la coesione sociale.
La nostalgia per la giovinezza delle città, ora rancorose e inospitali, diventa una malattia. Le metropoli sono teatri di violenza, rifugi nelle illusioni di centri sociali o discoteche, ma i sorrisi sono solo sui cartelloni pubblicitari, disancorati dalla rabbia comune.
Il processo di favelizzazione è inarrestabile, alimentato da un’economia rapace e impoverente. Le generazioni future, private di una base sicura, sono destinate a naufragi psicologici, prigioniere di una società spersonalizzata e massificata.
La nostalgia, secondo Freud, è un perturbante, il ritorno di immagini familiari in luoghi estranei. Nelle città moderne, la nostalgia si fonde con la minaccia, creando un sentimento di malinconia diffusa. Il declino dell’umanità urbana è un viaggio nel passato, ma intrappolato in un futuro incerto e inospitale.
©, 2022
La grande truffa dell’economia green
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