Passeggiate con Robert Walser Un Viaggio Culminante tra Camminate Cibo e Riflessioni
Alla Krone siamo effettivamente remunerati con un pranzo succulento: brodo di carne, tenere cotolette dello Holstein, fagiolini, barbabietole, tagliatelle, insalata e meringhe ghiacciate, con accompagnamento – su espressa richiesta di Robert – di vino rosso spagnolo. Al tavolo accanto al nostro l’oste panciuto, che trascina una gamba, spiega ad altri avventori come si cucina un tacchino: come vanno tolti i tendini e preparate con cura le quattro varietà di carne. Anche qui, come in ogni mestiere, ci piace la concretezza del discorso e l’amore alla cosa che, pur nel tono apparentemente freddo, vi risuona.
Carl Seelig ha saputo dedicare allo scrittore Robert Walser (Biel, 15 aprile 1878 – Herisau, 25 dicembre 1956) un libro pieno di grazia e di umorismo, di camminate e di pranzi sostanziosi, di bevute e di grandi mangiate di dolci, di scorribande filosofiche e di grandi riflessioni sull’arte e sulla vita. Che altro dire se non che Passeggiate con Robert Walser mette letteralmente voglia di leggere e di mangiare? Se non che leggere e mangiare sono sinonimi di amore per la vita?
Durante la sua permanenza presso la clinica psichiatrica di Heriusau, Robert Walser, auto confinatosi nell’Appenzell, dopo un trascorso traumatico a Berna e a Berlino, al termine di una vita passata orgogliosamente nella povertà di mezzi pur di non tradire la propria vocazione di uomo libero, e di scrittore indigesto, dal 1939 al 1956 troverà la perseverante compagnia di Carl Seelig in ben cadenzate passeggiate attorno a San Gallo, con tutti i climi e in tutte le stagioni, che hanno lo scopo apparente di trovare una meta sotto forma di macelleria con ristorante, o osteria, dove bere e mangiare dopo aver camminato di buon passo anche per venti o trenta chilometri, ma con lo scopo reale di permettere a Walser di rimettere ordine nei tanti cassetti un po’ in disordine del suo passato. Burbero, scontroso, scrittore indigesto al pubblico e agli editori, fallito e zero assoluto per sua stessa ammissione, Walser, in queste gustose cartoline svizzere, sa dare di sé il lato migliore, certamente perché si fida del suo interlocutore e non lo vede come un nemico da cui difendersi, anzi, un ascoltatore attento e non accomodante, un compagno di passeggiate capace di distendere con l’acume e la discrezione delle sue domande l’animo straniato, sofferente e irritabile di Walser.
Passeggiate che sono una sorta di terapia del cammino, di analisi peripatetica. Di termometro e di grafico capace di segnare i picchi di malessere, come i momenti di salute, del povero Robert. Che in momenti di slancio, di lucidità, è capace di riconciliarsi con la vita, con frasi che denotano la sua grande pace conquistata con l’età, ma soprattutto con la malattia, che gli ha dato l’agio di potersi ritirare e di non dover più assecondare i doveri della società, coi suoi riti e i suoi usi stucchevoli e snervanti. La scrittura, in questi anni, è cosa del passato, non lo riguarda più. Walser guarda alla propria arte da lontano, con grande obiettività, e ammette di non essere mai stato capace di fare il romanziere. Non se ne duole, la vita non per questo è meno bella, non per questo il mangiare e il bere sono meno buoni, e di questi due piaceri, Walser – negli ultimi anni – ne fa un virtuoso utilizzo al fine farsi piacere le sue giornate.
Si rimane perplessi di fronte all’animo di un uomo che riesce a mettere definitivamente una croce su tutto e a rinchiudersi in una clinica per non avere più quelle sollecitazioni che un tempo lo avevano portato ad ammalarsi. Viene da chiedersi dove sia finita tutta la rabbia, la discordia, l’ostilità che quest’uomo aveva da giovane. Esaurite con l’esaurirsi delle energie fisiche? Si dice che da vecchi non si diventa più buoni, ma solo più deboli. Forse è vero. Certo è che Walser camminava lungo i viottoli dell’Appenzell anche per trenta chilometri filati. E giunto in trattoria trovava sempre dei ricchi e gustosi menu come questo: minestra in brodo, spezzatino, piselli, patate fritte, insalata e composta di frutta. Il tutto accompagnato dal rosso, gagliardo vino Nussbaumer della zona, e diceva cose come questa: a me il mondo piace così com’è, con tutte le sue virtù e i suoi vizi. Il presente libro è anche una raccolta saporita di massime. Walser non tralasciava alcun aspetto della vita in esse. Il suo amore per la letteratura faceva corpo unico con la vita e con la morte, aspirando a divenire uno zero assoluto. Ma Walser resta fra i più grandi scrittori del secolo scorso, anche per questa sua smania apodittica di auto annullamento. Che gli farà dire anche:
Dove si vince si deve anche saper perdere. A Herisau non ho più scritto nulla. A cosa servirebbe? Il mio mondo è stato distrutto dai nazisti. I giornali per cui scrivevo hanno cessato le pubblicazioni, e i loro redattori sono stati cacciati o sono morti. Così mi sono ridotto a un fossile (…). Dalla bocca dello scrittore di genio si annuncia profeticamente la storia universale. La subordinazione ha qualcosa di bonario, l’indipendenza risveglia l’ostilità. Quando uno cerca il bello, il più delle volte gli viene gentilmente incontro.
Qualcosa di molto simile l’ha pronunciata un altro genio desolato a suo tempo, di nome Friedrich Nietzsche, a proposito del superuomo.
Ma capiamo qualcosa di più su Robert Walser, quando, riferendosi alla Fontana della Giustizia di Biel, afferma: E’ davvero un’opera straordinaria. A quell’epoca la genialità era ancora viva nel popolo, e l’artista non si proponeva altro che d’essere un solido e anonimo artigiano. Gli artisti moderni non sanno cos’ha significato per loro la perdita della modestia.
Frasi come queste, sono vere e proprie epifanie, cariche del senso tragico della vita. Come una vita che si stava concludendo in un dorato e sereno tramonto, dopo i tumulti passati. C’è qualcosa dei Viaggi Felici di un ormai anziano Giovanni Comisso, dove Walser afferma: come sono belle le città quando gli abitanti se ne stanno a casa seduti al pranzo di mezzogiorno! Il silenzio delle vie ha qualcosa di così dolce, di così misterioso. Che bisogno c’è d’andare in cerca di altre avventure!