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Il Canto di KALI il Tantra e i Kapalika

Il Canto di KALI il Tantra e i Kapalika
Parliamo di uno dei più grandi scrittori viventi, Dan Simmons. Forse senza rendersi pienamente conto dell’ampiezza del tema che andava ad affrontare ne Il canto di Kali, ha descritto, in un romanzo horror iper realista, una Calcutta indimenticabile, sconvolgente, inquietante e infernale, restituendo del tantrismo una visione torbida e assolutamente negativa. Chi scrive, del tantrismo conosce – invece – solo in parte la natura estremamente positiva e profonda, quella tramandata da Arthur Avalon e – per estensione – da Julius Evola, soprattutto relativamente al suo testo Lo Yoga della potenza. Prendiamo una buona descrizione del tantrismo da google, che riporta: Il tantrismo è la ricerca sistematica della salvezza o dell’eccellenza spirituale, realizzando e alimentando il divino all’interno del proprio corpo, è l’unione simultanea del maschile-femminile e dello spirito-materia, ed ha l’obiettivo di realizzare lo stato primitivo e beato della non-dualità.

Una descrizione perfetta (grazie google!) che condensa 4mila anni di storia. Ancora google: Il Tantra è nato intorno al 2000 a.C. nella valle dell’Indù fra gli Harappei, un popolo di matrice matriarcale, che avevano una vera e propria cultura del piacere: il lussuoso letto della padrona di casa stava nel salotto ed era lì che la donna festeggiava l’atto amoroso con l’uomo che aveva scelto.
Il tantrismo si è sviluppato in particolare nel Kashmir, zona cruciale per gli sviluppi e dell’induismo e del buddhismo. Non sono pochi i legami tra tantrismo e buddhismo. Il sopra citato libro di Julius Evola ne è un esempio, un testo che ci parla di autorealizzazione, una via automaieutica di miglioramento di sé, la via del Tantra della mano sinistra che, nei Tempi Ultimi (Il Kali-Yuga, ovvero, l’età oscura), è considerata l’unica praticabile dall’uomo moderno, tramite il sesso e la respirazione. Quella stessa corrente del Tantra che Dan Simmons descrive come malefica e oscura, in un passaggio in cui introduce il discorso sulla setta dei Kapalika: Restai sorpreso quando Sanjay mi offrì di entrare a far parte dei Kapalika (…). Sopreso e spaventato. Nel mio villaggio c’era un tempio dedicato a Durga, la Dea madre: il suo aspetto truce e la sua incarnazione come Kali mi erano familiari. Tuttavia esitavo. Durga era materna e Kali era ritenuta dissoluta. Durga era modesta nelle sue rappresentazioni, mentre Kali  era nuda… non semplicemente svestita, ma sfacciatamente ignuda… coperta solo dal manto dell’oscurità. L’oscurità e una collana di teshi umani. Adorare Kali al di là della sua festa significava seguire il Vamachara, il perverso Tantra della mano sinistra. I Kapalika adoravano Kali, naturalmente. Per molti anni l’avevano adorata alla luce del sole nel tempio di Kalighat, ma l’usanza di sacrificare un bambino maschio ogni venerdì del mese aveva indotto gli inglesi a mettere al bando la Società nel 1831. Essa divenne segreta e prosperò. Nel secolo scorso la lotta nazionalista spinse molti a cercare di entrarvi. Ma il prezzo dell’iniziazione era alto… Nel romanzo, siamo qui nel punto in cui inizia una lunga confessione notturna, che segna l’inizio dell’incubo del protagonista, un viaggio fra corpi putrefatti e sacrifici umani con crudeli decapitazioni. La lettura di queste pagine è ALTAMENTE SCONSIGLIATA alle persone sensibili, perché l’iper realismo dello stile può risultare sconvolgente e generare una sia pur transitoria modificazione dello stato di coscienza (motivo per cui, date queste assolute doti di stile, chi scrive considera Dan Simmons uno dei più grandi scrittori attualmente viventi).
Addentrandosi, anche se qui per grandi linee, nel pensiero di Evola, ci si allontana invece dalla visione allucinante e horror, demoniaca e criminale, che del tantrismo ha dato Dan Simmons ne Il canto di Kali, ma in questo articolo si cercherà, con difficoltà, di armonizzare le due visioni che, ahimè, sono entrambe vere e valide.
Il magnifico libro di Dan Simmons, inizia dicendo: Vi sono luoghi troppo malvagi perché sia consentito loro di esistere. Vi sono città troppo maligne per essere tollerate. Calcutta è uno di quei luoghi. Prima di Calcutta sarei scoppiato a ridere a un’idea del genere. Prima di Calcutta non credevo nel male, non certo come a una forza indipendente dalle azioni degli uomini.
E’ evidente che qui ci troviamo in una dimensione letteraria delirante e negativa, che del Tantra offre uno spaccato criminale e oscuro, molto lontano dalle teorizzazioni di Julius Evola e di Arthur Avalon. Chi scrive, essendosi principalmente documentato su questi ultimi, non ha contezza del fatto che le cose descritte da Dan Simmons siano mai realmente accadute. La setta dei Kapalika non vi è certezza che sia mai esistita nei termini di questa pura criminalizzazione romanzesca. Chi scrive, studiando il Tantra da diversi anni, non ne era a conoscenza prima della lettura del romanzo di Dan Simmons.
Kali hindu goddess Sri Veeramakaliamman temple in Singapore
I Kapalika raggiungevano la trascendenza attraverso la violenza, la sessualità, la dipendenza e altri atti peccaminosi. La città di Varanasi (Kāshî) era il centro spirituale per i più severi asceti Shaiva, i Kapalika o “portatori del teschio” – cranio (kapâla-vrata). Secondo una descrizione pittoresca, così come uno straniero deve presentarsi alle autorità di polizia, così il pellegrino che giunge alla città santa deve rendere devoto omaggio al Bhairava (https://axismundi.blog/2018/10/17/shiva-bharaiva-la-citta-santa-di-varanasi-e-laxis-mundi/).
Come Dioniso per la civiltà greca, il Dio selvaggio, l’”outsider”, Bhairava – l’ aspetto terribile di Shiva – è di importanza centrale per l’induismo. L’iconografia classica di questa divinità tantrica per eccellenza è spiegabile solo attraverso il mito di origine puranica che lo rappresenta come assassino di Brahmâ. (https://axismundi.blog/2018/10/17/shiva-bharaiva-la-citta-santa-di-varanasi-e-laxis-mundi/).
Ma perché questa celebrazione di una divinità criminale? Sebbene la punizione di Bhairava corrisponda perfettamente a quella prescritta per il crimine grave del Brahmanicidio nei libri di legge indù, la sua simultanea esaltazione riflette piuttosto le dottrine e le pratiche degli asceti Kâpâlika, che hanno preso questa rappresentazione classica di Bhairava come loro archetipo divino.
Quindi la promessa sovranità di Kâla Bhairava su Kâshî è stata tradotta in realtà nel suo essere il guardiano protettore (kotwal) del Signore Vishvanâtha, il dio-patrono di Vârânasî (Kâshî), la città santa degli indù. I Kâpâlikas eseguivano ancora il Mahâvrata o la “Grande Penitenza” di portare con sé la ciotola del cranio e il bastone (khatvânga) del bramanicida, per raggiungere lo stato beato di liberazione spirituale e ottenere poteri magici. (https://axismundi.blog/2018/10/17/shiva-bharaiva-la-citta-santa-di-varanasi-e-laxis-mundi/).
Ci siamo dunque per sommi capi addentrati nella esigua letteratura esistente che tratti l’argomento suggestivo e terrifico dei Kapalika. Ma resta però da affrontare il più importante dei tasselli di questo articolo, il pensiero di Julius Evola. Un pensiero che affonda le sue radici nell’idealismo europeo, capace di sconfinare nella dialettica con altre religioni, fra cui quella indù e buddhista, di apprendere dalla magia e dalla tradizione i concetti di un idealismo magico, che ce lo fa apparire unico nel panorama del’900 (tuttora molto discusso e a tratti demonizzato da una certa ala di pensiero progressista, che critica e demonizza senza conoscere).
Nella nota del curatore all’edizione del 2010 de Lo Yoga della potenza (Edizioni Mediterranee), (la prima edizione risale al 1949, edita da Bocca) si trova una considerazione sui tempi ultimi, quel Kali-Yuga, o età oscura, nella quale la sola via di conoscenza adatta all’uomo moderno, la sola visione del mondo ammessa e possibile, è quella offerta dal tantrismo, che si basa sulla shakti, la Potenza, dove l’azione contrapposta alla contemplazione risulta essere una disciplina che concilia il godimento del mondo e l’invulnerabilità ad esso. Nel Kali-Yuga, dunque, secondo il buddhismo tantrico solo il respiro e il sesso vengono considerati le uniche vie ancora aperte per l’uomo: è il Vajrayana, la Via della Folgore, dell’indistruttibilità. “L’uomo deve trasformarsi, quindi agire, per conoscere davvero”, dice l’autore.
Ci troviamo di fronte a una visione pratica, pedagogica, che utilizza una lontana disciplina orientale nel solco di una tradizione occidentale di Paideia, capace di intervenire sulla personalità attraverso la modificazione dell’esperienza, e più precisamente, l’esperienza privata della sua matrice sensoriale, il pensare senza cervello dei guerrieri taoisti, quello che Pio Filippani-Ronconi (e Giovanni Colazza e Massimo Scaligero del Gruppo di Ur), professavano come un pensiero libero dai sensi (Introduzione alla Magia come Scienza dell’Io), secondo il perseguimento di un’opera auto maieutica condizionata alla preventiva liberazione del pensare dal suo supporto fisico, addirittura cerebrale (una pratica che avvicina questi studiosi allo Yoga e al buddhismo delle origini). Così apprendiamo alla fonte che nel tantrismo della mano sinistra è teorizzata la purità dell’azione, la sua ascesi che dà al siddha (colui che ha acquisito dei poteri, per lo più mentali, quali l’autodominio), la possibilità di compiere qualsiasi cosa, di vivere con distacco qualunque esperienza, una volta che egli abbia raggiunto la liberazione dal proprio Ego (le siddhi sono dei poteri magici). Calandoci nel presente, può sembrare veramente magico, potente, un uomo capace di divenire individuo, di distaccarsi con ascetismo e controllo di sé dal flusso incessante e illusorio delle cose (il saṃsāra della religione indù).
Vorremmo qui ricollegarci all’inizio di questo articolo, dove google, riassumendo il Tantra, afferma che persegue l’obiettivo di realizzare lo stato primitivo e beato della non-dualità. La dualità, infatti, altro non è che la separazione cartesiana tra Io e non-Io, tra Soggetto e Oggetto della cultura occidentale. E qui ci serve spiegare il concetto, già caro a Schopenhauer, di Mâyâ: la Mâyâ è il principio per il quale l’uomo sperimenta il mondo come una realtà a sé, come un non-Io, soggiacendo ad una illusione dovuta ad ignoranza. Nel tantrismo esso viene riferito ad un potere, Mâyâ Shakti, a sua volta identificato con la forza demiurgica del Principio. Il grado perfetto, liminale, della conoscenza che si raggiunge col Tantra, è quello (di un pensare senza cervello) in cui l’Essere si identifica col Conoscere, in cui la contrapposizione fra Soggetto e Oggetto, fra Io e non-Io (che sussiste in tutte le varietà del sapere scientifico moderno, essendone addirittura la premessa metodologica) viene rimossa.
Secondo il pensiero tantrico, è necessario – tramite la pratica, l’ascesi, la disciplina, ovvero, il sādhanā – andare al di là del mondo fenomenico e dell’apparenza (pensare senza cervello, ridurre al minimo sino a cancellare l’apporto dei sensi), che è astratta e cerebrale, osservando – usando le parole di Julius Evola – come la formazione scientifica dell’uomo moderno… desacralizza interamente il mondo, lo pietrifica nel fantasma di una pura, muta esteriorità la quale (…) ammette al massimo … le emozioni estetiche e liriche del poeta e dell’artista.  
Si può notare, infine, come quello tantrico sia un ideale quasi titanico e di difficile applicazione nelle società occidentali. Diremmo addirittura impossibile. Se non prendendone dei pezzi, e adattandoli in maniera abborracciata al fluire caotico delle nostre esistenze metropolitane, nell’asfissia degli impegni lavorativi e sociali, che sono la negazione dello Yoga e del sādhanā.
Varanasi
Per cui, concludiamo questo scritto con questo avviso: chiunque Vi spacci un percorso (a pagamento o gratuito) nell’affascinante mondo del Tantra, è quasi sicuramente un abile imbroglione. È capitato a chi scrive di leggere sul Corriere della Sera un articolo nel 2014 su una crisi psicotica che colpì una donna a seguito di una immersione in pratiche tantriche. Si vorrebbe qui sottolineare la pericolosità insita nel Tantra, soprattutto in un momento storico in cui questa pratica sta subendo le suggestioni di una moda di massa che pone in pericolo adepti poco avveduti con maestri non qualificati (oggigiorno, nell’ambiente delle discipline orientali, circolano molti ciarlatani, delinquenti in malafede che si autoproclamano guru, e fanno pagare dei bei soldi promettendo la felicità terrena, ma capaci di mandare all’inferno i loro sprovveduti clienti, attratti come falene verso la luce da una più che discutibile new age).
immagini della città di Varanasi:
©, 2023
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