WAGNER CONTRACTOR ATTACCHI TERRORISTICI GUERRA URBANA
6 aprile 2022
Cosa sono e cosa fanno i contractors
I contractors, queste misteriose entità che si aggirano e combatto nei vari teatri di guerra sparsi per il pianeta, chi sono veramente, e quale è la loro funzione, quale è il valore della loro vita? La vita di un contractor vale pari a zero, sia economicamente (40 mila euro di risarcimento alle famiglie) che politicamente.
Il contractor, difatti, è più sacrificabile di un militare dell’esercito regolare, per vari motivi.
Di solito le agenzie di collocamento dei contractor difficilmente tengono un registro con il numero di contractor uccisi, e i governi non hanno il dovere di comunicare all’opinione pubblica la loro morte. In un poco chiaro giro di subappalti, i contractor caduti non vengono nemmeno segnalati a causa di negligenza, documentazione inadeguata o analfabetismo. Sono più di 250 i contractors morti in Iraq e Afghanistan nel 2010, cifra che supera per la prima volta i 235 militari caduti nello stesso periodo.
Un aumento che ha ricevuto poca attenzione da parte dell’opinione pubblica.
L’utilizzo dei contractors offre il vantaggio del basso costo economico, e dello scarso peso politico delle loro morti. Molti governi considerano i contractors “pedine sacrificabili”.
Tuttavia, durante l’amministrazione Trump, l’uccisione di un contractor americano in Iraq è stata ritenuta dal presidente Trump una linea rossa, che ha provocato un’escalation tale da far temere la Terza guerra mondiale.
Ma la vita dei contractors è generalmente così poco considerata, da fare apparire quella di Trump una mera strumentalizzazione politica, ben presto rientrata.
Il 27 dicembre 2019 una base situata in Iraq è stata colpita da razzi che hanno provocato la morte di un contractor americano ed il ferimento di altri soldati. La risposta USA arriva qualche giorno dopo, con attacchi aerei, che hanno provocato morti e feriti, e una rapida escalation che, secondo i giornali, ha portato il Mondo sull’orlo della Terza guerra mondiale.
Infatti, dopo la risposta americana, è stata attaccata l’ambasciata statunitense a Baghdad, a cui Washington ha reagito con l’omicidio mirato del generale iraniano, Qasem Soleimani. Questa volta gli iraniani rispondono con un attacco missilistico contro due basi americane in Iraq e l’abbattimento per errore di un boeing ucraino con 176 persone a bordo.
Ma cosa succede quando un contractor viene ucciso?
Quando un militare viene ucciso la notizia rimbalza sulle prime pagine dei giornali, e il Pentagono emette entro 48 ore un comunicato ufficiale. La morte di un contractor, invece, non fa notizia, di lui nessun organo governativo o informativo se ne occupa.
Durante le operazioni in Donbass, Siria e Libia ed altri Paesi, Mosca ha utilizzato reparti di contractors per far apparire queste operazioni meno costose in termini di vite umane. Si tratta del Gruppo Wagner e di altre organizzazioni meno conosciute quali Patriot, Vega e Shield. Il tutto è stato pianificato in modo da non far trapelare notizie attraverso un controllo serrato dei media, e sui parenti dei caduti, grazie ad accordi di riservatezza e risarcimenti.
La scelta di utilizzare massicciamente i contractors per evitare le morti di soldati regolari vede protagonisti molti Paesi. Ciò evita ai governi i malcontenti che si avrebbero con le perdite di soldati regolari, e le opposizioni politiche all’intervento sul campo.
Il Cremlino nega le morti di persone russe in territorio straniero, smentendo ogni collegamento col Gruppo Wagner, nell’intento di ridimensionare le critiche sulla propria politica estera.
Vediamo allora che il secondo dei vantaggi recato dall’uso dei contractors, è quello di una riduzione dell’effetto casualty sensitivity (sensibilità alle perdite) di cui soffre l’opinione pubblica, facile miccia che innesca malcontenti, proteste. Nell’epoca post-eroica in cui viviamo – difatti – non c’è più tolleranza per le vittime di guerra, per cui: guerre sì, ma brevi, e con pochi morti.
Su quella che doveva essere una guerra breve, quella in Ucraina scatenata dalla Russia il 24 febbraio scorso, si sta discutendo ormai da 6 settimane. Mosca è difatti passata dall’illusione della guerra lampo alla necessità di quella di logoramento. Putin ha creduto, portando le proprie truppe di fronte a Kiev, che gli ucraini si arrendessero subito, evitandogli così il grattacapo di una guerra più lunga e con molte perdite. Ed è stato disatteso dalla potente resistenza ucraina, che ha fatto sorgere interrogativi, in Occidente, sulla reale efficacia e preparazione del suo esercito. Gli ucraini resistono. Questo Putin non lo aveva previsto. La storia si sta ripetendo, come accadde nella Seconda Guerra Mondiale, sulla carta una guerra lampo che si trasformò ben presto in una guerra di logoramento. La Russia però non è nuova a simili disfatte. Anche la prima guerra cecena, che nei desideri di Mosca doveva risolversi in pochi giorni, fu una disfatta per la Russia, che fu costretta a una battaglia urbana lunga e cruenta. La Russia immagina spesso guerre che si risolvano in una passeggiata, per essere smentita sul campo dalla resistenza avversaria, più preparata alla guerra casa per casa e strada per strada, subendo il logoramento dei propri uomini, come sta avvenendo in questi giorni in Ucraina. La guerra urbana normalmente prevede un elevato tasso di perdite, motivo per cui oggi Putin sembra abbia rinunciato a dare l’assalto di terra a Kiev. Secondo Andrea Lopreiato, il combattimento offensivo in città non s’improvvisa e non è possibile sopperire alla scarsa preparazione, a vari livelli (…). Sulle tecniche di guerra urbana ci illumina il libro di Andrea Lopreiato, edito da Mursia col titolo esemplificativo di Guerra nelle città, i combattimenti urbani nel dopoguerra. A metà strada tra il manuale e il libro di storia, il libro di Andrea Lopreiato ripercorre le tappe evolutive di questo concetto, presentando la genesi della guerra urbana dal dopoguerra ad oggi, fornendo alcuni casi ben analizzati.
Che cosa fare in caso di attacco terroristico
Non dissimile per argomento è il libro di Gianpiero Spinelli Che cosa fare in caso di attacco terroristico, dalla prevenzione alle emergenze, manuale per tutti basato su procedure A.T.B.P. (Mursia Editore), in quanto quello di attacco terroristico è una evoluzione del concetto di guerra urbana. Purtroppo non si può abbassare la guardia, perché il pericolo è sempre presente. Che cosa fare, dunque, se malauguratamente ci dovesse essere un attentato? La risposta sta nell’essere preparati a tale atto e tutto verrà di conseguenza, aiutati anche dalla fortuna (difesaonline.it).
Gianpiero Spinelli, contractor e consulente in problemi di sicurezza globale, ci spiega in questo libro che un attacco terroristico avviene in una condizione asimmetrica: il terrorista sa quello che sta accadendo, le persone coinvolte, no. La vittima non capisce cosa le stia accadendo intorno, di solito, nel giro di pochi istanti o minuti. Il fattore sorpresa, perché non giochi a favore del terrorista, deve essere prevenuto dalla vittima, la quale saprà a priori cosa avviene nella testa del terrorista, quali saranno le sue mosse: ciò fa la differenza fra la vita e la morte in quei frangenti, in un ambiente che è divenuto improvvisamente insolito e anormale. Trasformare l’anormalità in normalità, è la tecnica del Anti Terrorism Behaviour Performance Skills, o A.T.B.P., Perché se è indubbio che un evento improvviso ci proietta in una dimensione innaturale, è altrettanto vero che non c’è niente di più naturale e ancestrale dell’istinto di sopravvivenza. Quello che bisogna fare è prendere coscienza dell’istinto di sopravvivenza, gestirlo e renderlo efficace (…) Possiamo utilizzare la nostra paura per ridurre in qualche modo il vantaggio del fattore sorpresa che rende forte il terrorista (…) Lavorando sulla consapevolezza potremmo essere in grado di fare quelle distinzioni indispensabili non solo per salvare noi stessi, ma anche per essere sensori passivi in supporto alle Forze dell’Ordine e alle Forze Armate, fornendo elementi che possono essere determinanti per limitare il vantaggio terroristico (…) riconoscendo i comportamenti e i segnali di pericolo, rendendoci vigili e veloci e non lenti e sopraffatti, capaci di gestire le crisi emotive provocate dal pericolo, (dando – ndr) priorità all’economia dei movimenti e soprattutto alla gestione dei ritmi non prevedibili e standardizzati.
Quello che l’Autore cerca di spiegare, è che lo Stato non protegge abbastanza i cittadini da attacchi terroristici, e minimizza con frasi rassicuranti sulla loro eventualità, dicendo che la situazione è sotto controllo, che non dobbiamo cambiare il nostro stile di vita, in quanto sarebbe darla vinta in partenza ai terroristi, per non creare allarmismo. Ma il pericolo di un attacco terroristico è sempre presente, in città sempre più affollate e incubatrici di conflitti e violenza.
L’attacco terroristico, spiega l’Autore E’ un’azione improvvisa che scaraventa chi è coinvolto in una realtà alterata e imprevista dove le cose avvengono in modo rapidissimo e fuori dagli schemi abituali.
E’ una situazione nella quale la nostra paura gioca un ruolo fondamentale per giocare d’anticipo sul fattore sorpresa: sviluppando una paura intelligente (ed evitando – ndr) la paura psicotica che ci rende vittime potenziali.
Ci ricorda ancora Andrea Lopreiato nel libro citato, che lo scontro bellico nelle città, e per estensione possibili atti terroristici, lo si dovrà allo scontro socio-etnico-culturale tra nazioni evolute e gruppi insorgenti, unitamente a flussi migratori incontrollabili e a condizioni di vita sempre più inumane, che possono fare da miccia ad azioni estreme.
Ma Gianpiero Spinelli conclude così: Nell’A.T.B.P. non si usa mai la parola vittima: fino a quando non siamo clinicamente morti non siamo vittime, ma semplicemente protagonisti di un determinato fatto. Obiettivo dell’A.T.B.P. è proprio evitare di avere vittime. L’azione terroristica, al contrario, vuole farne. Sembra una questione lessicale ma non lo è: se vi pensate come vittime, sarete vittime.
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