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A raccontar storie alla fine si crede ad esse, e si finisce per diventare proprio quelle storie. Big Fish è il capolavoro stilistico di Tim Burton, un inno alla gioia dell’immaginazione, del raccontare come atto che permette di creare relazioni fra esseri umani. L’atto affabulatorio viene reso in maniera totale e assoluta quale esempio per vivere una vita eccezionale, al di là della veridicità dei fatti raccontati. Un mito, infatti, non ha bisogno di essere dimostrato. Il mito basta a se stesso, trova in se la sua ragion d’essere, la sua verità e la sua necessità.
Sgorga proprio dalle sorgenti del mito la storia del protagonista di questo film, Edward Bloom (Albert Finney). Egli ci racconta fatti iperbolici e inverosimili, e non sapremo mai se egli abbia finito – nel raccontarceli – per credere nelle sue stesse menzogne, se sia un po’ svampito e malato di immaginosità, o se abbia veramente conosciuto lupi mannari, auto trasportate da sciami di mosche, foreste incantate e città magiche dove il tempo si ferma, e streghe dall’occhio che predice il futuro.
In una Alabama immaginosa e ancestrale, fatta di fiumi nebbiosi e paludi incantate, così come ce l’hanno raccontata i grandi maestri del South Style americano, Edward Bloom insegue il grande pesce del fiume, che prenderà il suo anello nuziale attaccato alla lenza come esca. La simbologia dell’anello ci viene riproposta anche in questa storia, in questa bellissima fiaba, non da Tolkien ma da Tim Burton, che di leggende nordiche sembra essersi abbastanza e degnamente cibato. Big Fish è un atto d’amore, amore per l’uomo e le sue storie, amore per l’amore stesso in una accezione squisitamente romantica.
BIG FISH
Con: Ewan McGregor, Albert Finney, Jessica Lange, Steve Buscemi
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