ROBERT ERVIN HOWARD Visionario e vagabondo di mondi perduti
Robert E. Howard è nato nel 1906 a Cross Plains (Texas), cittadina dalla quale non si è mai spostato. Lo si considera il creatore assoluto della corrente letteraria “Sword and Sorcery” (quel particolare filone del Fantasy caratterizzato dallo svolgersi di avventure cruente in un ambiente barbarico ove domina la magia), e – al pari di Emilio Salgari – è stato una sorta di visionario capace di varcare lo spazio e il tempo, nonostante la limitatezza dei propri spostamenti fisici. Howard è stato anche creatore di mondi virtuali, tratti da antiche leggende pre-cristiane, un misto di cultura woodoo e egizia, celtica e araba.
Main Street in Cross Plains, Texas about 1912

 

La sua creazione, o meglio, creatura, è il Puritano eroe a nome Solomon Kane, un vagabondo, nel senso kerouachiano ante-litteram del termine, oppure – meglio – vicino alla cultura tardo romantica del vagabondare alla Knut Hamsun. Ci sarebbe da aggiungere che il vagabondare di Kane, tra jungle misteriose e savane selvagge, assomigli al vagabondare di altro avventuroso personaggio, pure qui recensito, Tristan Jones (Storia di un marinaio da strada). La cultura del vagabondaggio ha antiche radici, e nomi illustri della letteratura ne hanno fatto il proprio tema portante, come Charles Bukowski, sia pur parlando di un wandering sconnesso tra bar e corse di cavalli, e Malcolm Lowry.
Ho citato alcuni nomi: Knut Hamsun, Charles Bukowski e Malcolm Lowry (i primi che mi siano venuti in mente), e cosa hanno costoro in comune con Howard? Mi sembra di poter affermare che i personaggi – vagabondi di questi Autori siano accomunati dall’avere all’interno un demone, un richiamo verso qualcosa che finirà per distruggerli, o che farà di tutto per farlo (nel caso dei primi tre, saranno la povertà e l’alcool, nel caso di Kane il richiamo, demoniaco, misterioso, incomprensibile della Jungla).
Lo stesso visionario Kane, in un passo de “I figli di Asshur”, si autointerroga sul motivo che lo spinge a vagabondare – apparentemente senza scopo – in jungle infestate da demoni e presenze malefiche. Egli attribuisce il fenomeno a una sorta di infestazione della sua psiche da parte di un fluido antico, generatosi prima del tempo, prima del mondo, che l’avrebbe in qualche modo catturato nel corso delle sue prime esplorazioni, senza più abbandonarlo. A proteggerlo dai demoni, porta con sé un bastone magico, la verga ju-ju donatagli dallo sciamano (suo fratello di sangue di nome N’Longa) che appartenne all’antico Re Salomone. Con questo bastone, appuntito e con l’impugnatura a forma di testa di gatto, Kane sconfigge armate di schiavisti moreschi, i Demoni che Re Salomone avrebbe ricacciato a Ovest all’interno di strane prigioni nascoste nella jungla, morti viventi che, di notte, si cibano delle anime dei vivi attorno ai villaggi disseminati nella savana. Il linguaggio  di Howard è favolistico, pieno di immagini folgoranti, capace di trascinare il lettore, e giungere al dunque senza troppi giri di parole, molto simile allo stile di Emilio Salgari, e di certi giallisti di terza categoria che hanno saputo intrattenerci in tante, magiche serate di pioggia (come questa).
 
©, 2008

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