LA PSICANALISI COME SOVVERSIONE DEL SAPERE
Wilhelm Fliess (Arnswalde, 24 ottobre 1858 – Berlino, 13 ottobre 1928) è stato un chirurgo tedesco.
Otorinolaringoiatra, incontra Sigmund Freud nel 1887. Convinto sostenitore della bisessualità innata, operò una delle pazienti di Freud, Emma Eckstein.
Nel 1904, dopo quindici anni di scambi epistolari, i rapporti con lo psicoanalista austriaco sono irrimediabilmente compromessi: Fliess accusa Freud di aver condiviso con Otto Weininger il risultato delle sue scoperte. (Wikipedia).
LA PSICANALISI COME SOVVERSIONE DEL SAPERE
 
La psicanalisi è apparsa nel 1900 con Freud, e per questo ora si è creata la distanza necessaria per considerarla in una prospettiva storica. Il movimento psicanalitico non è unitario, tuttavia presenta uno stile cognitivo analogo a tutti i protagonisti: la capacità di dubitare delle certezze, di abbandonare la sicurezza del noto per l’ignoto, di tentare l’impossibile. Questo atteggiamento non riguarda solo l’oggetto della conoscenza, ma soprattutto il rapporto del ricercatore con se stesso. La psicanalisi intacca ogni residua certezza. E’ la riprova della debolezza e, al contempo, della forza della razionalità occidentale, testimoniando il fallimento del sapere scientifico, nella sua pretesa di conoscere, possedere e dominare la realtà, rendendo modificabile quello che prima sembrava dominato dal caos, con la scoperta delle sue leggi regolative. Freud non intende fare della psicanalisi una Weltanshauung, ma produrre un punto prospettico dal quale nessun sapere possa prescindere. È stato necessario mutare il rapporto che il medico intrattiene con la malattia. Oggetto d’indagine della psicanalisi classica è l’organo sofferente – o la funzione distorta – e la sua finalità ultima consiste nell’intelligibilità del sintomo, inteso come connessione necessaria e costante tra causa organica ed effetto patologico. Questo nesso, catalogato come sindrome, viene inserito nell’archivio complessivo della tassonomia, ramo delle scienze biologiche, preposto alla classificazione e alla nomenclatura degli organismi viventi e fossili, dove trova significato e valore. Freud tenta di inserirsi nella psichiatria istituzionale, ma non vi riesce, anche perché rimane troppo coinvolto dal fascino dell’altro. La psichiatria si difende, frapponendo fra sé e l’altro la barriera del sapere, della tecnica, facendosi puro strumento che indaga l’altro senza riconoscerlo, considerandolo cosa tra le cose. Invece, il medico che si dispone all’ascolto si rende passivo, si lascia invadere dal discorso del malato che parla. Nel momento in cui non è più la parte malata che pone un problema, ma il soggetto che – attraverso di essa – si manifesta, la psicanalisi si stacca dalla medicina, scienza del corpo, per farsi scienza dell’uomo. Nel vuoto, rimangono pratiche non riconosciute dalla scienza ufficiale, come il mesmerismo e l’ipnosi, in cui permane un insieme di pensieri e affetti, in una confusione tra il corporeo e lo psichico.
Il centro della ricerca di Freud fu l’inconscio, trasgredendo ai divieti disciplinari delle conoscenze istituzionali, organizzando un nuovo campo di saperi. Nella sua impresa conserva, della medicina, i privilegi attribuiti alla patologia, come possibilità di cogliere in forma evidente il funzionamento normale, e alla terapia, intesa come campo sperimentale dal quale trarre gli interrogativi e nel quale verificare le ipotesi esplicative. Freud cercherà, per quanto possibile, di non scindere la teoria dalla prassi, la metapsicologia dalla clinica. La psicanalisi nasce come terapia dell’isteria, e – dal rapporto con le isteriche – Freud deriva la convinzione su cui si fonda tutta la sua ricerca: tutto l’agire umano, anche il meno intenzionale, è dotato di senso. Il senso non riguarda l’atto in sé, ma un significato nascosto che va ricercato con opportune strategie. Ogni manifestazione umana può essere letta come discorso manifesto che rimanda ad un discorso latente che ne detiene il senso. Ma non si tratta solo di scoprire una verità latente, ma di costruire un senso storico attraverso il lavoro analitico di composizione e ricomposizione dell’ evidente. La psicanalisi, secondo Freud, è un lavoro nel corso del quale emerge l’esperienza dell’inconscio. L’inconscio non è una cosa, non è una zona dell’apparato psichico, ma un’esperienza concreta ed una necessità logica. Solo ammettendo l’esperienza dell’inconscio possiamo capire brandelli di esperienza che altrimenti rimarrebbero privi di soggettività e di significato. Solo l’inconscio ci permette di riordinare, di razionalizzare l’irrazionale e di perseguire una ricomposizione del mondo. L’inconscio in sé rimane inconoscibile,e solo attraverso i suoi derivati (sogno, sintomo, lapsus, motto di spirito, gioco) possiamo risalire alle sorgenti valoriali e a quel desiderio che anima la nostra vita. La psicanalisi, quindi, risulta una scienza delle tracce, resa possibile dal principio del determinismo inconscio, che collega tutti i nostri atti in una ferrea catena associativa. L’inconscio non è il latente o il remoto, ma attualità ed efficacia. La psicanalisi si propone un compito infinito, ed i risultati che consegue possono essere trasmessi in vari modi, attraverso un’esperienza di analisi, in cui l’allievo analista apprendere un “saper fare” facendo, secondo le modalità di apprendistato di un’arte. Questa possibilità, interagendo, produce il doppio binario della storia della psicanalisi. Contemporaneamente storia di un’istituzione, movimento psicanalitico, e di una scienza seppur a statuto particolare.
La psicanalisi contribuisce a formare un’antropologia, quindi occorrerà stabilire le condizioni di possibilità, i limiti di competenza, le esigenze metodologiche, comportate dall’estensione di un sapere scientifico.
Per presentare in modo univoco la psicanalisi, Freud, nella voce composta nel 1922 per il Dizionario di sessuologia, ne articola la definizione in questi distinti livelli: psicanalisi è il nome di un procedimento per l’indagine di processi psichici a cui altrimenti sarebbe impossibile accedere; un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; una serie di conoscenze psicologiche così acquisite, che si assommano convergendo in una nuova disciplina scientifica. Pur essendo molto generica, e quindi insufficiente, questa definizione mette in luce come la psicanalisi vada intesa in riferimento costante alla sua pratica. La nuova disciplina scientifica si delinea infatti dal confronto dinamico delle ipotesi teoriche con la terapia, che ne costituisce il campo sperimentale.
Un altro cardine epistemologico mette in luce come la psicanalisi sia destinata a trarre le sue domande dall’attività diagnostica e terapeutica, e a cercare nella cura la convalida delle sue ipotesi teoriche. Dal rapporto terapeutico perverrà il costante interrogarsi sul senso e sul valore della scoperta freudiana, che delimita una nuova ragione del sapere, organizza una nuova disciplina scientifica: un aspetto, quindi, di rottura nei confronti della tradizione scientifica precedente. Mentre i metodi e i concetti utilizzati non sono radicalmente nuovi. I metodi possiamo ritrovarli nella magia, nella confessione religiosa e, più specificamente, nella psichiatria e – i concetti – nel mito, nella tradizione filosofica, nella produzione artistica e, per certi aspetti, nella psicologia fisiologica.
Nuovo è il punto di vista unitario, l’inconscio, dal quale Freud organizza questi assunti in un metodo e in un insieme teorico coerenti. Nel 1918 – in occasione dell’istituzione a Budapest della prima cattedra di psicologia – Freud si dimostra consapevole che la psicanalisi offre un codice di lettura delle produzioni culturali e dimostra anche con Psicologia delle masse e analisi dell’io –  nel 1921 – che, conoscenze apprese nella terapia del sintomo individuale, possono estendersi alle indagini delle formazioni sociali.
La psicanalisi, infatti, non diviene un discorso onnipotente, ma provoca e suscita domande, fa dubitare di elementari certezze, attribuisce consapevolezza alla complessità del rapporto comunicativo dell’uomo con se stesso e col mondo, scorge le ombre dell’ignoto, dove il pensiero classico vedeva uno stacco netto. Persino l’osservazione scientifica, considerata obiettiva e neutrale, è attraversata da dinamiche affettive all’insaputa dello scienziato. Occorre che la conoscenza riconosca le zone d’ombra, le commistioni, le mescolanze che la ragione intrattiene con l’irrazionale. Per far questo, il soggetto conoscente deve porsi dentro e fuori dal suo campo d’indagine e, solo con questo obiettivo, la psicanalisi raggiunge lo scopo da Freud assegnatole.
L’ingresso della psicanalisi nel mondo della cultura produce un cambiamento del rapporto tra l’esplicito e l’implicito, che sovverte il sistema di equilibri dell’antropologia classica, studiando i tipi e gli aspetti umani, soprattutto dal punto di vista morfologico, fisiologico, psicologico. Vengono meno l’immagine di mondo e la figura di uomo costruiti intorno alla solidità del cogito cartesiano, nella certezza prima e indubitabile che l’individuo, in quanto soggetto pensante, ha della propria esistenza. Freud comprende la funzione epistemologica, fondata sullo studio critico dei limiti della scienza, della psicanalisi nei confronti della storia del pensiero scientifico. Risulta possibile formulare un discorso clinico sul nostro sapere, proprio considerando come oggetto anche il soggetto conoscente, analizzando la storia della scienza, non come teoria delle cose, ma come relazione dell’uomo col mondo.
I modelli teorici che organizzano visioni del mondo mutano il nostro modo di pensare, di pensarci. La psicanalisi è riuscita a configurare la cultura classica come una formazione difensiva, di fronte al terrore del nulla, della morte, per cui la scienza però – nel suo procedere – ha minato il sistema di certezze, provocando vere e proprie ferite al fantasma ideale che l’uomo si era costruito di se stesso, ossia ferite narcisistiche. Funzione consolatoria e autogratificante è pensare l’uomo al centro dell’universo, ed il mondo a misura dell’uomo. La prima ferita narcisistica per l’umanità risulta la scoperta copernicana che, decentrando la terra, priva l’uomo della sua collocazione sovrana nell’universo. Le teorie di Darwin inseriscono l’uomo nelle generazioni del regno animale, decentrandolo da una collocazione privilegiata nell’universo. La terza ferita narcisistica mette in crisi l’ultima presunzione dell’uomo, dimostrando che l’Io si inganna costantemente, ritenendo che psichico sia identico a cosciente.
Freud, con Nietzsche e Marx, è descritto da Ricoeur come “maestro del sospetto”. E, come loro, noi dubitiamo che la coscienza sia così come appare a se stessa. In realtà accadono molte più cose nella mente di quanto l’Io ne controlli e ne conosca. Fin da Aristotele, la psicologia era tutta compresa nei sistemi filosofici ed il suo sapere, per lo più di senso comune, era considerato inventariato e concluso, perfezionabile semmai con l’introspezione, ossia, con una riflessione interiore intenzionale e cosciente. La filosofia classica riconosce la presenza dell’inconscio, ma lo colloca al di là del suo sapere. Alla fine del ‘700, le critiche radicali dell’empirismo inglese dissolvono il concetto di Io sostanziale, metafisico, sostenendo che è semplicemente fenomenico. Questo travolge la psicologia stessa che, per secoli, aveva riconosciuto nell’unità della coscienza il suo soggetto. Kant negherà alla psicologia il grado di scienza, e Comte la esclude categoricamente dall’ordine delle scienze. Sorge così, nei laboratori delle università di lingua tedesca, la psicologia scientifica,che cerca di costruire un oggetto indescrivibile nell’ambito delle scienze della natura, partendo da unità elementari, le soglie sensoriali, e si propone di ricompattare la coscienza unitaria negata dalla critica filosofica. Freud, invece, fa degli scarti, dei margini del discorso, delle cadute di intenzionalità, del non detto, l’oggetto di indagine privilegiato, utilizzando gli strumenti della scienza precedente che, nel corso del lavoro, si modificano diventando per certi aspetti omogenei all’oggetto. Nell’esplorazione dell’inconscio, si scopre un radicamento nel corpo e nelle pulsioni, che ne svela il coinvolgimento con la sessualità. La scoperta fu talmente perturbante da stupire lo stesso Freud. Per la medicina tradizionale, la sessualità coincideva con il processo riproduttivo esclusivamente finalizzato alla generazione. Ogni comportamento erotico non finalizzato veniva considerato anormale, e perciò si produssero una molteplicità di presunte patologie e di perversioni sessuali. Freud, invece, separa l’energia sessuale dal meccanismo riproduttivo, e riconosce la presenza della sessualità nello scambio di parole e di affetti tra terapeuta e paziente. Secondo Freud, la sessualità non è un oggetto opaco riconducibile a funzioni dell’organismo, ma un’energia vitale che informa sia il corpo che lo psichico, essendo anche questione di pensiero, di fantasia, di parola. Si infrange così il dualismo corpo-anima, perché il corpo può parlare e la parola può curare, perché entrambi sono animati dalla stessa energia sessuale. Mentre la sessualità non sarà mai completamente riducibile in discorso, le parole dicono, modificano, deformano, velano, amministrano le pulsioni sessuali, e si rivelano allora pratiche discorsive sessuate. Perché la sessualità venga socialmente amministrata, incanalata, finalizzata, occorre si presuma un’operazione preliminare: la trasformazione del senso, come pura condotta, reattività animale, nella sessualità, cioè, in un sistema di discorsi. La sessualità è quindi inscindibile dai discorsi in generale, in quanto tutti li precorre, li ripercorre, li elabora, li organizza. Da tempo, la pratica della confessione aveva sostituito, all’ammissione del fatto peccaminoso, la denuncia dell’intenzione, del desiderio, psicologizzando la sessualità, facendone questione di parole, di silenzi, di pensieri. Estorta la confessione sessuale, la si osserva scientificamente, cercando di renderla comprensibile ed accettabile. Ma i discorsi sulla sessualità celano e non dicono il sesso, inteso come sesso inconscio, non riducibile ad ogni norma, ad ogni normalità. L’isterica rappresenta il sesso non sessualizzato, non traducibile in discorso scientifico. L’isteria, mimando tutte le malattie, fu una sfida per la medicina dell’epoca, sottraendosi come oggetto. L’isterica parla con il corpo: è dal sintomo che bisogna partire.
Freud vuole fare della psicanalisi una scienza con una dignità scientifica e un corpus teorico. La psicanalisi consiste in un codice di lettura di altre produzioni culturali, con il rischio della perdita di specificità. Freud cerca di mantenere uno statuto di incertezza che è una dicotomia insanabile. La psicanalisi è un mezzo d’indagine dei processi psichici, un metodo di trattamento per i disturbi psichici, ed un corpus teorico che ne fa una disciplina scientifica.  
Il rapporto epistolare con Fliess 
Per controllare la sua influenza nel rapporto di transfert con il paziente, Freud si autoanalizza. Ribadisce i cardini della teoria psicanalitica emersi con il rapporto affettivo transferale. I cardini della teoria psicanalitica consistono:
·        Nell’importanza del discorso (libere associazioni);
·        Nell’importanza transferale (riedizioni di rapporti affettivi padre/figlio, ossia, intuizioni del complesso edipico nella sessualità infantile).
Il sogno è una bizzarria, una follia notturna che induce paranoia. Nella psicopatologia della vita quotidiana (1901), Freud indica che non vi è diversità tra il sano e il malato, perché tutti sognano, e il rimosso ritorna nei sogni, camuffato. Nel malato che sogna il rimosso ritorna, perturba funzioni psichiche legate all’attività sessuale, quali l’isteria e le nevrosi d’angoscia. Nel sano che sogna, il rimosso disturba le attività psichiche marginali, quali i lapsus, le sviste, gli atti mancati.
Freud dopo il rapporto epistolare con Fliess
L’isteria è dovuta ad un conflitto di pulsioni di natura sessuale. Secondo la teoria della rimozione, la pulsione-desiderio rimosso riguarda la vita sessuale infantile del paziente. L’isteria si spiega con la teoria del trauma, ossia, allucinazioni fattuali di tentativo di seduzione da parte del padre vissuto psichicamente, con un ruolo importante dell’elemento fantastico. La libido è un’energia pulsionale psicofisica di natura sessuale, che converge sulle zone erogene della pubertà, e non trova vie di sfogo nell’isteria. In teorie sulla sessualità infantile del 1905, si studia la distribuzione della libido. Nel bambino maschio lo sviluppo sessuale è volto al primato della genialità, ed è perno di relazioni edipiche. L’origine della libido prevede che, nel neonato dotato di organizzazione sessuale della libido autoerotica, essa sia concentrata nella suzione del dito e nella ricerca del piacere. Nella fase orale l’organizzazione della libido nella zona della bocca rappresenta il primo rapporto col mondo esterno, che viene incorporato e sputato. La fase anale prevede l’organizzazione della libido nella zona dell’ano con l’espulsione e il trattenimento delle feci. La fase fallica o genitale prevede l’organizzazione della libido nella zona genitale. Freud consiglia, per non provocare fantasie erotiche profonde nel bambino, di evitare comportamenti manipolatori come le sberle sul sedere. Il complesso edipico è definito nel rapporto di fiducia tra madre e figlio, in cui il padre è visto come intruso. L’amore per il genitore del sesso opposto, e l’odio per il genitore dello stesso sesso, prevede che il bambino sviluppi le sue fantasie sessuali, e riversi la libido sulla madre, vivendo le sue fantasie con senso di colpa per il divieto dell’incesto rappresentato dal padre. Le fantasie sessuali e il divieto d’incesto costituiscono la paura di castrazione nella rinuncia pulsionale del bambino, che fa un sacrificio, e – nell’assimilazione del super Io paterno, quale sistema di divieti e di valori – si determina il superamento del complesso edipico. Il periodo di latenza è l’inserimento dell’individuo nella società. Il bambino, da adolescente, nel rapporto amoroso con il partner, riattiva tracce del legame arcaico con la madre. Gli impulsi sessuali sono organizzati secondo il primato di genialità, e assolvono richieste della società come la riproduzione. L’edipo organizza i rapporti sociali a livello psichico. Nel rapporto sulla sessualità e la società e nel disagio della civiltà del 1930, la società sottrae energie libidiche all’individuo per stabilire coesioni tra uomini, e tutelarsi dalle cariche aggressive, richiedendo la repressione delle pulsioni libidiche. La sessualità dell’individuo rinuncia al soddisfacimento del piacere e della felicità per la sicurezza. A livello inconscio, la rinuncia si rivela in malessere, disagio ineliminabile, risultato del conflitto tra pulsioni libidiche, o desideri repressi, e pulsioni aggressive (guerra). Nell’ultima interpretazione delle pulsioni al di là del principio di piacere del 1920 – la vita psichica è conflittuale, per natura, nel conflitto tra due tipi di pulsioni opposte. Le pulsioni di vita comprendono le pulsioni per eccellenza, ossia le pulsioni libidiche, di autoconservazione dell’Io, che tendono a conservare l’essere organico e a mantenere le sue energie pulsionali concentrate per creare altre unità viventi. Le pulsioni di morte, prima all’interno (autodistruzione) poi all’esterno (pulsioni aggressive) tendono a ridurre l’essere organico in uno stato inorganico, e a distruggere l’unità vitale, disperdendone l’energia pulsionale.
©, 2008

 

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