FAVOLA SU MILANO VISTA DA UN BAMBINO ULTRATERRENO DI LUIGI SANTUCCI
FAVOLA SU MILANO VISTA DA UN BAMBINO ULTRATERRENO DI LUIGI SANTUCCI
Il bambino di Luigi Santucci viveva a Milano nel 1977. Romanzo favola che prende le mosse dai Giardini Pubblici di porta Venezia, coi suoi monumenti e alberi e animali dello zoo, per disquisire sui mali della modernità, di una metropoli inquinata, devastata dal frastuono dei motori e dalle urla dei contestatori (erano gli anni delle grandi manifestazioni, degli hippy e degli anarchici oltre che dei gruppi neo fascisti).
Il bambino di Luigi Santucci dialoga con le anime di Antonio Stoppani, Ernesto Teodoro Moneta, Giuseppe Giacosa, Luciano Manara, Filippo Carcano, che, scendendo dal piedistallo sul quale è collocato il loro monumento ai Giardini Pubblici, intessono col giovane bambino dei dialoghi surreali fra vita e morte, al di là e al di qua, passato e presente.
Il loro parlare verte sulle nevrosi degli esseri umani, sull’inabitabilità di Milano, sulla guerriglia urbana, sulla rivolta giovanile, un parlare che ha come teatro i Giardini Pubblici in un sottile e impalpabile contatto fra vita e morte, fra mondo dei vivi e mondo dei morti.
I personaggi ottocenteschi che popolano con le loro statue il parco, si animano e tengono compagnia a questo bambino solitario e sensibile e anti conformista.  
I dissacratori dei valori tradizionali, entrano in un grottesco e a volte privo di senso alterco coi monumenti del passato, e quel mondo anacronistico subisce il patetico attacco della barbarie giovanile contestativa.
Non è un caso che, pochi anni fa, dei contestatori avessero imbrattato di vernice il monumento a Indro Montanelli posto proprio nei Giradini Pubblici. Il motivo della contestazione erano le sue posizioni politiche e il suo simboleggiare una vetusta cultura patriarcale in nome del nuovo politicamente corretto, della cancel culture.
Anche nel romanzo di Luigi Santucci (Non sparate sui narcisi) si respira con quarant’anni d’anticipo il clima di uno scontro ideologico sul tema del cosiddetto green. Allora c’era la lotta tra verdisti e smoghisti. I primi, erano i propugnatori di un ritorno a un mondo verde di giardini e di natura, purificato dalla clorofilla, in rivincita contro la colata di asfalto e calcestruzzo e gas tossici che aveva in pochi anni sommerso il mondo.
Il termine Verdista non includeva solo il concetto di paladini degli spazi arborei, ma di tutto quanto attenesse alla bellezza, sia del paesaggio che dei monumenti d’arte trasmessi dall’uomo all’uomo attraverso i secoli. (…) Gli Smoghisti erano invece “gli altri” (…) gente priva di fisime che badava a produrre, a lasciar camminare il mondo sui binari del progresso e dell’universale benessere.
Traslato nel 2023, si potrebbe dire che i Verdisti siano diventati i politici dell’Unione Europea che impongono ai poveri cittadini Smoghisti, incolpati di tutti i mali del mondo (e certamente non ricchi) di comprare l’auto elettrica e di ristrutturare la casa per il bene del pianeta. La guerra tra Verdisti e Smoghisti immaginata nel 1977 da Luigi Santucci, si sta traslando al presente in una guerra tra Europeisti e Sovranisti.
Nel romanzo, non si capisce da che parte stia il bambino, un bambino curioso e scettico, che ama porre le domande più spiazzanti ai suoi numi tutelari, e camminare lontano dal chiasso della città nei saloni del Museo di Storia Naturale.
Il suo disprezzo per i propri simili, e per il progresso tecnologico, ce lo fa percepire come animo tradizionalista lontano dai fasti della vita associata e del culto del progressismo colto, quindi, come un odierno Sovranista. Ma Santucci non si sbilancia, e mantiene la narrazione in bilico fra detto e non detto, vita e morte, maestro di leggerezza e di garbo.

 

©, 2023

 

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