Game of games
Game of games
Accendo un momento la televisione per evadere quei 5 minuti con sigaretta e caffè, sperando di trovare qualcosa di degno. Le mie speranze in tal senso erano già molto basse, quando mi imbattei automaticamente all’accensione del TV su rai 2, dove andava in onda Game of games, lo strombazzato programma condotto da Simona Ventura.
Gli autori e gli scenografi di Game of games hanno dato prova di grande inventiva, nell’elaborare situazioni estreme cui sottoporre i partecipanti per poter esibire le loro capacità.
Tipo salire una gradinata cosparsa di grasso, bardati di tuta casco e ginocchiere, e, alla fine di una dura lotta contro la forza di gravità, aggiudicarsi per primi (le squadre erano due) il pulsante da premere che, producendo uno squillo assordante e uno sbuffo di fumo, dava loro la possibilità di rispondere alla domanda, posta dalla Ventura: “Quale è il legume che la principessa della famosa fiaba di Andersen non sopportava sotto il materasso?”
Domanda semplice, pensai, per cui, la parte più difficile del gioco era salire quella gradinata, anche col rischio di fratturarsi un femore o peggio. Pensai che, in fondo, vista la banalità della domanda, Game of games fosse una sorta di riedizione di Giochi senza Frontiere, uno spettacolo ginnico in cui si sottoponevano i partecipanti, tutti atleti molto agili, alle prove più esilaranti e complicate sotto il profilo dell’equilibrio, della forza, della velocità, della prontezza di riflessi. Pensai che il quiz, perciò, non si giocasse su un aspetto culturale, se non per quel minimo pretestuoso offerto da una domanda banale, utile a far scattare la prova fisica.
Per cui, mi aspettavo senza alcuna suspense l’esito della risposta, che sarebbe dovuta essere “pisello”, il famoso legume era il “pisello della famosa principessa sul pisello”, tutti i bambini lo sanno dai 4 anni in su.
Il pulsante venne premuto, la tromba squillò, e uno sbuffo di fumo apocalittico invase lo studio di rai due di Game of games.
La squadra che era giunta in cima e aveva finalmente premuto il pulsante, ancora ansimante e ammaccata in tutto il corpo, dopo aver scampato seri pericoli, era composta da un uomo e una donna, giovani, atletici, sorridenti, entusiasti. Si guardarono in faccia, esitanti e palpitanti, mentre la Ventura aspettava trepidante la risposta. La ragazza pronunciò, poco convinta ma a pieni polmoni: “fagiolo?”
A questo punto, vengo preso dallo sconforto. Spengo la televisione, e mi tornano a mente le varie situazioni in cui, personalmente, o indirettamente, per letture fatte, articoli letti, interviste ascoltate sulla deplorevole condizione della Scuola e delle Università in Italia, avevo potuto percepire l’abisso dell’infantilismo, della mancanza di istruzione, della poca curiosità e voglia di leggere, che erano diventate la condizione di molti giovani italiani, ma anche di molti adulti, come conseguenza di un totale disinvestimento su istruzione e formazione.
E ci sarebbe poco da stupirsi, basta infatti ricordare le parole di alcuni politici, di qualche anno fa, quando dissero che “la cultura non si mangia”.
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