Un ricordo di Jack Canali da Albavilla al McKinley + Gigi Alippi Forcellino
Nato al Vill’Albese (oggi Albavilla) nel 1928, Jack Canali fa le sue prime esperienze alpinistiche negli ultimi anni di liceo: nel 1947 scala il pizzo Bernina per la via normale. Con mezzi limitati, affronta lo stesso la passione per la montagna: per la sua ascesa al Cervino del 1949 sulla via normale italiana, non ha paura di affrontare il viaggio di andata e ritorno Albavilla-Cervinia in bicicletta.
Istruttore guida alla scuola militare alpina NATO dal 1957, viaggia e compie nel 1958 (membro della spedizione “Ghiglione-Pirovano-Canali” in Colombia),
la scalata di ben 21 cime vergini e la scoperta di un fiume allora sconosciuto. Compie nel 1960 la prima salita invernale della parete Nord del Gran Zebrù
e la salita della parete Ovest della Sciora di Fuori.
Il 1961 è l’anno della spedizione CAI Lecco “Italia 61” con Riccardo Cassin al McKinley in Alaska. Successo con prima salita della parete Sud a 6190m, in condizioni climatiche proibitive.
Uno dei membri di quella spedizione, Gigi Alippi, lo vorremmo qui ricordare per una importante salita nel Gruppo delle Grigne.
Gigi Alippi si è spento a Lecco il 28 marzo 2016 all’età di 80 anni. «Un’altra pagina si è inserita nell’albo d’oro dell’alpinismo italiano» (Google).
Se ne è andato un grande dell’alpinismo, se ne è andato un amico, compagno di tante amichevoli ma infinite discussioni al campo base del Lhotse. (Alessandro Gogna)
Grazie al sito di Alessandro Gogna, apprendo per la prima volta dell’esistenza di una parete vertiginosa e selvaggia nel Gruppo delle Grigne: il Forcellino. Mi pare strano che, negli Anni in cui scalavo in Grigna, non abbia mai sentito parlare di questa parete, nemmeno dagli addetti ai lavori. Si tratta di un salto netto di 450 m, a tratti friabile, e di difficile avvicinamento, in quanto, per attaccarlo, bisogna calarsi dall’alto in un baratro di 1000 m sul versante Lago del Monte San Martino. Scalato per la prima volta da Gigi Alippi e il Det nel 1960. Trovando qua e là frammentate notizie in merito sul web, che riportano sempre lo stesso concetto, ovvero, che tale impresa era inspiegabilmente passata nel dimenticatoio, mi rendo conto che, ad essere stato all’oscuro di ciò, non ero solo io.
La mia, con il Det, era un’amicizia solida, basata sulla condivisione di impegnativo e faticoso lavoro in campagna, cui si accompagnava nei momenti di libertà la rincorsa verso le pareti di montagna dove sfogare la nostra passione per l’arrampicata. Quel mese di marzo del 1960 il Det, Giuseppe Alippi, classe 1934, era salito ai Piani Resinelli a tagliar legna: non pensiamo all’armeggiare leggero con la motosega, che a quel tempo non apparteneva nemmeno al mondo dell’immaginazione. Ci si confrontava con le piante di faggio a suon di scure, battendo e ribattendo con la fronte grondante di sudore, finché si riusciva ad aver la meglio sullo spessore della pianta, che crollava a terra. Il lavoro con la scure proseguiva con il sezionamento del tronco in modo di ricavarne quattro parti, e al quarto veniva legata alle estremità una bella frasca: solo allora il fass era pronto per affrontare la discesa lungo i sette tratti della teleferica. Arrivato ad Abbadia, veniva caricato su carri e portato a destinazione. Per noi ragazzetti, cresciuti in questo contesto di divertimento e fatica, era del tutto normale sopportare impavidamente tutti i disagi annessi, per nulla consapevoli che anche questa diventava una valida preparazione alla pratica dell’alpinismo. Mi ricordo che sulla Nord del Monte Disgrazia, mentre la piccozza roteava e incideva con una facilità estrema, mi chiedevo: “Che parete di ghiaccio è, se non trovi il ghiaccio?” Quanta inesperienza… Oltre all’alpinismo, entrambi eravamo appassionati alla caccia. Dal nostro bosco ascoltavamo estasiati cantare sui “crap” le coturnici, commentando ogni volta: “È una; no, sono due, no, sono più di quattro: è la covata”. Quanta poesia in questi ascolti! Oggi le “coturne” lì non ci sono più, mentre gli stessi sentieri sono spesso lacerati da irriguardosi escursionisti vocianti.
Così si legge su https://gognablog.sherpa-gate.com/forcellino-1960/
incipit a un bellissimo racconto sulla prima ascesa al Forcellino scritto da Gigi Alippi.
Questa salita, molto poco ripetuta, malgrado la sua notevole importanza alpinistica, è stata storicamente rimossa. Leggendo il racconto di Gigi Alippi, mi sono anch’io immerso in quella atmosfera intatta e selvaggia, condividendo emotivamente le emozioni e le fatiche di quei due grandi alpinisti. La difficile salita su un terreno insidioso, i cunei in legno che il Det aveva sapientemente ricavato da delle radici di una pianta di noce, la notte di bivacco sulle staffe a picco sulla Statale 36 che si snoda sotto la parete, e di cui si avverte il rumore del traffico, una commistione tra Natura selvaggia e Civiltà che imprime un fascino esclusivo al racconto.
La modestia di Gigi Alippi era proverbiale. Ma anche la sua intransigenza. Era contrario alla rivisitazione delle Vie di salita in chiave consumistica, che rendeva accessibili anche a chi non sarebbe stato in grado di salirle, Vie un tempo estreme e oggi completamente spittate, per così dire, addomesticate.
Ma chi volesse conoscere meglio il pensiero e la vita di questo alpinista, dovrebbe sicuramente leggere il suo memoriale, Il profumo delle mie montagne (Alpine Studio, 2014).
©, 2020
questa pagina contiene alcuni collegamenti esterni il cui contenuto informazioneecultura.it ha verificato solo al momento del loro inserimento; informazioneecultura.it non garantisce in alcun modo sulla qualità di tali collegamenti, qualora il loro contenuto fosse modificato in seguito.