"Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire." Marguerite Yourcenar
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Al visitatore di questa mostra può sorgere spontaneo un interrogativo. Lo stesso interrogativo che assilla le moderne filosofie da qualche tempo. Cosa distingue shunga-arte-ed-eros-nel-giappone-del-periodo-edoAl visitatore di questa mostra può sorgere spontaneo un interrogativo. Lo stesso interrogativo che assilla le moderne filosofie da qualche tempo. Cosa distingue questa forma di arte Shunga da ciò che più comunemente in Occidente chiamiamo “pornografia”? Quale sarebbe stato il risultato, in quei lontani secoli antichi, se gli artisti giapponesi dell’arte Shunga avessero disposto di macchine fotografiche, anziché di pennelli, nel ritrarre amanti in pose esplicite? Non sarebbe stato un risultato sovrapponibile a quello delle immagini che comunemente, e con disprezzo, chiamiamo “pornografiche”? A farci prendere le distanze da questa concezione svilente del corpo, a rassicurarci che ciò che stiamo vedendo non è pornografia, ma arte, interviene il tempo, l’enorme distanza che c’è tra gli Shunga e il mondo contemporaneo, e la tecnica a mano dell’opera. Forse un po’ ci scoccia ammettere che questa altro non è che la pornografia dell’epoca Edo, che, essendo dell’epoca Edo appunto, si sottrae ad un giudizio che ci farebbe passare per dei morbosi guardoni dei giorni nostri arte-ed-eros-nel-giappone-del-periodo-edoAl visitatore di questa mostra può sorgere spontaneo un interrogativo. Lo stesso interrogativo che assilla le moderne filosofie da qualche tempo. Cosa distingue questa forma di arte Shunga da ciò che più comunemente in Occidente chiamiamo “pornografia”? Quale sarebbe stato il risultato, in quei lontani secoli antichi, se gli artisti giapponesi dell’arte Shunga avessero disposto di macchine fotografiche, anziché di pennelli, nel ritrarre amanti in pose esplicite? Non sarebbe stato un risultato sovrapponibile a quello delle immagini che comunemente, e con disprezzo, chiamiamo “pornografiche”? A farci prendere le distanze da questa concezione svilente del corpo, a rassicurarci che ciò che stiamo vedendo non è pornografia, ma arte, interviene il tempo, l’enorme distanza che c’è tra gli Shunga e il mondo contemporaneo, e la tecnica a mano dell’opera. Forse un po’ ci scoccia ammettere che questa altro non è che la pornografia dell’epoca Edo, che, essendo dell’epoca Edo appunto, si sottrae ad un giudizio che ci farebbe passare per dei morbosi guardoni dei giorni nostri. Al visitatore di questa mostra può sorgere spontaneo un interrogativo. Lo stesso interrogativo che assilla le moderne filosofie da qualche tempo. Cosa distingue questa forma di arte Shunga da ciò che più comunemente in Occidente chiamiamo “pornografia”? Quale sarebbe stato il risultato, in quei lontani secoli antichi, se gli artisti giapponesi dell’arte Shunga avessero disposto di macchine fotografiche, anziché di pennelli, nel ritrarre amanti in pose esplicite? Non sarebbe stato un risultato sovrapponibile a quello delle immagini che comunemente, e con disprezzo, chiamiamo “pornografiche”? A farci prendere le distanze da questa concezione svilente del corpo, a rassicurarci che ciò che stiamo vedendo non è pornografia, ma arte, interviene il tempo, l’enorme distanza che c’è tra gli Shunga e il mondo contemporaneo, e la tecnica a mano dell’opera. Forse un po’ ci scoccia ammettere che questa altro non è che la pornografia dell’epoca Edo, che, essendo dell’epoca Edo appunto, si sottrae ad un giudizio che ci farebbe passare per dei morbosi guardoni dei giorni nostri.