SOTTO PRESSIONE giornalismo in Colombia guerriglia narcotraffico paramilitari
Cosa significa essere giornalisti in Colombia? A questa ed altre domande rispondono i personaggi intervistati in questo importante Volume, scritto con l’intento di favorire, nel mondo occidentale, una maggiore informazione sulla condizione dei colleghi giornalisti colombiani, impegnati a difendere la libertà di informazione nel loro Paese, e i principi fondamentali della democrazia. Alla serata di presentazione (Milano, Palazzo della Provincia, 9 aprile 2008), c’è la voce di Hollman Morris, il giornalista colombiano pluriminacciato di morte e direttore del programma Contravia, che ci riferisce quanto sia difficile fare il giornalista convivendo con tutti gli aspetti di una Nazione in perenne guerra, contro la criminalità del narcotraffico, colluso a sua volta con le istituzioni e i paramilitari. La vita in Colombia è talmente segnata dal dolore e dai traumi, che è stata addirittura istituita una associazione di psicologi per il recupero dei testimoni di fatti di sangue, tiene a specificare Hollman Morris. La situazione economica e politica in Colombia è complessa, e sfugge ai facili stereotipi che ne vengono fatti nelle Nazioni avanzate. E’ importante che libri come questo vengano pubblicati, perché danno visibilità ai giornalisti che, spesso, lavorano – e muoiono – nell’ombra. Infatti, la visibilità di un giornalista sembrerebbe scoraggiare, o attenuare, la possibilità che venga ucciso. Il mondo intero dovrebbe impegnarsi a aiutare l’informazione in Colombia, affinché i giornalisti possano svolgere il loro lavoro in serenità, ma questo sembra un miraggio, un’utopia, e laggiù, invece, i colleghi continuano a morire o – al contrario – ad autocensurarsi, per evitare le minacce. Uno dei gravi problemi dell’informazione in Colombia, infatti, è l’autocensura dei giornalisti, volta ad attenuare le attenzioni delle organizzazioni criminali, governative e paramilitari nei loro confronti, e nei confronti delle loro famiglie. 120 giornalisti uccisi negli ultimi 30 anni fanno della Colombia il paese più rischioso ove svolgere questa professione. Vi è stato un grande sforzo, negli ultimi 5 anni, per dare voce alle vittime della guerra e per denunciare le violazioni dei diritti umani, oltre che per distaccarsi dalle posizioni della stampa ufficiale, che non dà voce ai popoli originari afro-discendenti della Colombia, spesso oggetto di veri e propri stermini. Lo sforzo dei giornalisti colombiani, attualmente, è quello di denunciare tutti coloro che hanno commesso questi crimini nelle zone più isolate della Colombia. Il Governo colombiano, d’altro canto, continua a gettare discredito sui giornalisti, emettendo comunicati televisivi a loro contro nelle ore di massima audience. A questo proposito, un vecchio proverbio campesino recita: “quando si tolgono le piume a una gallina, è molto difficile rimettergliele”.
SOTTO PRESSIONE
Il giornalismo in Colombia prigioniero di guerriglia, narcotraffico, paramilitari e governo
A cura di Stefano Neri e Martin E. Iglesias
Stella, 2008
©, 2008
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