Michel Foucault spiega René Magritte
Le opere della “serie” L’empire des lumières di René Magritte sono tra le immagini più iconiche dell’arte del ventesimo secolo. Con la combinazione luminosa di un cielo blu brillante contro una strada notturna oscura, Il soggetto potrebbe essere ispirato alla poesia L’Aigrette di André Breton, padre del Surrealismo, il cui verso d’apertura recita: “Se solo il sole venisse fuori stasera“. Ecco apparire nel magico quadro la misteriosa combinazione di una strada buia e notturna sotto un cielo azzurro. Il risultato è la tipica atmosfera di immagini in cui due cose apparentemente incompatibili si uniscono per creare una falsa realtà. L’empire des lumières è, insieme a La Trahison des images (Ceci n’est pas une pipe), e agli uomini col cappello a bombetta, tra le immagini più importanti della pittura di Magritte, la cui influenza si estende oltre i circoli surrealisti: una esplorazione complessa e sofisticata della rappresentazione della realtà.
Magritte, L’empire des lumières, 1961
Se ne sarebbe occupato anche il filosofo Michel Foucault, nel libro Questo non è una pipa. Ai più, al grande pubblico, l’Opera di Magritte appare suggestiva, amabilmente bizzarra, con una alta vocazione all’irrazionale, sottomessa ai canoni accademici, nonostante le sue alte pretese, facile. Giudizi ed equivoci che Michel Foucault puntualmente dissipa, da grande estimatore del pittore, nel suo studio penetrante, articolato, capace di mettere in luce le implicazioni figurative e filosofiche della ricerca estetica sottesa a queste Opere, tra le più importanti del XX Secolo.
Foucault mostra prima di tutto le analogie esistenti fra la pittura di Magritte e quella di Klee e Kandinskij, per poi rivelarci la rottura operata rispetto a una tradizione plurisecolare, con una pittura in cui il principio cardinale della pittura classica (il legame indissolubile tra verosimiglianza e rappresentazione, tra segno e cosa) viene ribaltato, in nome di una liberazione della pittura dalla dittatura del verosimile, di una supposta realtà oggettiva di cui l’opera sarebbe supina imitazione, e ciò che, infine, rende di difficile comprensione questo dipinto non è la contraddizione tra l’immagine e il testo: in quanto potrebbe esservi contraddizione solamente tra due enunciati, o all’interno di uno stesso e unico enunciato.
«Ciò che sconcerta», ci spiega Foucault, «è la necessità inevitabilmente abituale di riferire il testo alla figura e l’impossibilità di definire il piano che permetterebbe di verificare o meno il contenuto dell’asserzione».
Ci troviamo così di fronte all’autonomia dei due elementi presenti sulla tela, ovvero: da una parte la forma perfettamente disegnata, semplice e bastante a se stessa come l’immagine presa da un manuale di botanica, e dall’altra un testo, disposto in maniera slegata da ciò che nomina, con l’effetto che ne consegue: «Designare e disegnare non si sovrappongono.»
Vi è una duplice esteriorità: quella dell’aspetto grafico e quella dell’aspetto plastico, entro le quali vive il non rapporto tra il quadro e il suo titolo: «I titoli sono scelti in modo da impedire che i miei quadri vengano situati in una regione familiare, che l’automatismo del pensiero non mancherebbe di evocare per sottrarsi all’inquietudine». Come Sartre si riferisce alla parola poetica come “cosa” (Che cos’è la letteratura?) anche in questo quadro, le parole e le immagini si oggettificano assumendo infine ognuno pari dignità, tanto che «la parola assume la solidità di un oggetto».
©, 2022

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