Campo BlenioPiramide di Blenio
Ricordo di Campo Blenio

 

Campo Blenio
Lago di Piano e Lago di Lugano

 

Al Camping Ok la Rivetta, di Porlezza, passavo il mio tempo anche a leggere. Una lettura appartenente a quel periodo è “Inverno nel Sangue”, del Pellerossa James Welch. Romanzo ambientato in una Riserva del Montana, mi aveva avvinto sin dalle prime pagine. Fu di molti, ma molti anni dopo, la scoperta di uno scrittore del tutto simile: Jim Harrison, che scrisse spesso delle terre desolate del West con passione, struggimento e una buona dose di ironia, a volte dando alla pagina un insolito tono sperimentale, che avevo già apprezzato anche in Ken Kesey, soprattutto in “Sailor Song”, bellissimo romanzo ambientato fra i pescatori dell’Alaska.

Ken Kesey

Campo Blenio
Ken Kesey – Sailor Song
Jim Harrison

 

Jim Harrison – La strada di casa

 

Avevo ormai lasciato le mie montagne, ed ero entrato in quel Regno, chiamato Letteratura, fatto di divinità maggiori e minori le quali erano i miei Maestri spirituali, ovvero, gli scrittori. Cosa cercavo nei libri? se non quella stessa immersione che avevo trovato nel fare alpinismo? La mia era diventata da subito una passione totale ed assoluta.
Tramonto – Lago di Piano – sullo sfondo, il Lago di Lugano
Ma ormai anche Venezia era lontana, con le sue angosce lagunari, le aspirazioni goethiane che si frangevano sulla pietra dei ponti, dai quali gettavo nei canali i miei epigrammi. Stavo diventando adulto, mi stavo levando di dosso tutta quella oscurità dell’Anima, che mi piovve addosso abbandonando la montagna, e piombando in un luogo abissale dell’Inconscio, che Venezia ebbe il – forse deleterio – effetto di esacerbare in me.

 

Campo Blenio

 

Molti, ma molti anni prima, avevo visto sulla Enciclopedia della Montagna l’immagine di una montagna, appunto, dalla strana, fiabesca forma culminante in una piramide. Presentava un versante che precipitava a picco, tagliato dritto e perfettamente verticale, e il lato opposto inclinato, come uno scivolo, o il tetto di una piramide. La foto aveva la didascalia che ne riportava il nome, “Piramide Blenio”.
Non vi era Internet, a quei tempi, e mi dovetti accontentare di questa piccola immagine ritagliata in una pagina, e della descrizione scritta, poche righe, della Valle, la Valle Blenio, nel Canton Ticino, in Svizzera. Per molti anni conservai il desiderio di vederla dal vivo, e il momento era arrivato, con R*** e la sua prestante Fiat Uno, alla volta di Bellinzona, poi di Biasca, quindi, di Campo Blenio, come avevo potuto appurare sulla cartina del Touring, tracciando la rotta di quella nostra prossima escursione.
Campo Blenio
Airolo

 

Le mie letture al camping Ok La Rivetta proseguivano. Dopo il bellissimo romanzo del pellerossa, passai ad Attilio Veraldi, al suo “Uomo di conseguenza”, immergendomi in un linguaggio fatto di frasi ad effetto, frasi e linguaggio da duri, leggermente fumettistico, caratterizzato all’eccesso e accompagnato a movenze rigide, stentoree, un omaggio che lo scrittore nostrano volle fare ai Maestri americani della Hard Boiled School.
Dopo Attilio Veraldi, mi attendeva Nelson Algren, con “Mai venga il mattino”, capostipite degli esistenzialisti statunitensi, amante di Simone de Beauvoir, autore di storie ai margini di disperati e delinquenti, scritte con una prosa ricca, densa, a tratti romanticheggiante, una prosa realistica e tragica. Senza saperlo, stavo mettendo le basi di miei futuri lavori di questo genere.

 

Attilio Veraldi – Uomo di conseguenza

 

Della zona prossima a Bellinzona ricordo una superstrada a tre corsie in discesa, che sbucava fuori da un tunnel per poi finire fra le braccia di una conca sormontata da alte montagne.
Si prendeva per il San Gottardo direzione Biasca, una zona impervia di antiche origini romane, il punto di congiunzione tra mondo germanico e mondo mediterraneo. Il Lucomagno è un luogo altero, buio, fatto di pareti impervie che precipitano a valle, di un marrone scuro che incombe sui villaggi dai pochi tetti appuntiti, fatti di pietra i cui piccoli trafori delle finestre evocano, come impauriti, una prigione. Siamo a pochi chilometri dall’Italia, ma già incombe su questi luoghi un’atmosfera cupa, ferrigna, aspra, fatta di lingue nordiche e tradizioni che affondano in mitologie a noi estranee. Vi si respira un cupo animus wagneriano, di nibelungico fatalismo e fosco paganesimo, lontano dal paganesimo solare e edonistico del Mediterraneo, ma grigio e livido, come le case e le cuspidi appuntite dei campanili riformati.
Si coglie il silenzio e la solitudine di qualcosa di etereo ed eterno, che aleggia come il sentimento presente ma forse solo inconscio della Morte. Eppure, poco oltre Bellinzona, a un solo passo da questa conca austera e buia, si ritrova l’Italia, con le sue gioie mediterranee, le sue aperture, l’armonia delle sue linee e della sua lingua, la bellezza neoclassica che proviene da Sud e dal Sole, la misura delle cose, distante dalla cupa e cruda bellezza da Carmina Burana di questi luoghi sperduti, battuti dal vento e da un continuo, profondo sussurro di tomba.

 

La bellezza del Nostro paese si vede anche dalle sue vecchie banconote, come ebbe a dire David Leavitt

 

Nel mio breve ma intenso apprendistato alpinistico, non ero mai stato in questo settore delle Alpi, né mai avevo scalato il Monte Adula, e ora, mentre con R*** guidavo la Uno in direzione Campo Blenio, provavo un forte rimpianto per non averlo fatto. Ormai sapevo di avere chiuso per sempre con corde e chiodi, era un sentimento tanto irrazionale quanto reale. Sarei stato ancora giovane per fare tutto quello che avevo in mente di fare, ma sapevo che una separatezza incolmabile si era posta fra me e le Montagne.
Lo avevo capito quella notte, che andai a St. Moritz con L*** e rividi il Balzetto dal Maloja, poco dopo che il Dante mi aveva raccontato della sua incredibile impresa. Allora, avevo capito di essere stato io stesso il fautore di questa mia volontaria separazione dalle Montagne. Fra me ed esse si erano frapposte Venezia, la Letteratura, passioni assolute che, con un’altra passione assoluta come la montagna, non potevano coesistere. Quello che ormai vedevo e vivevo, lo vedevo e lo vivevo attraverso la lente deformante della Letteratura, era come il fumo delle tante sigarette che fumavo, che avevo sempre davanti agli occhi.
Non faccio qui le lodi della Letteratura, la considero, difatti, come fumo negli occhi, me ne sarei accorto molti, ma molti anni dopo.
Campo Blenio
Lucomagno – Piz Blas

 

… eppure, molti, ma molti anni dopo, ebbi modo anche di scrivere:
Io però mi chiedo anche cosa capirei di un paesaggio, di un volto, di un tono di voce, di un buon piatto, se non avessi avuto l’insegnamento dei Maestri. Capirei quello che l’immediata percezione mi comunica, ma non farei confluire questa percezione in un più vasto orizzonte, che ne farebbe una percezione culturale, e non soltanto mia, singola, limitata, animalesca, prettamente sensoriale. Forse la letteratura – se ne vogliamo salvare il buono – è una ottima educazione sensoriale. Ci insegna a capire meglio i colori, i sapori, i suoni, le emozioni, a fare delle distinzioni al loro interno, a crearci una scala di gusto estetico, a dare un nome alle cose che ci circondano e – soprattutto – a quelle che albergano dentro di Noi. Certamente non è tutto da buttare l’insegnamento dei libri.
James Welch – Inverno nel Sangue

 

Campo Blenio era separato, dal resto della vallata che era angusta e buia, da una galleria, oltre la quale si apriva un anfiteatro di montagne innevate, di ghiacciai nella cornice di boschi e alpeggi di un verde talmente intenso, da sembrare artificiale. L’azzurrissimo cielo dava risalto al candore delle vette, e poche baite in legno, una decina in tutto, erano il villaggio di Campo Blenio, con una chiesetta e un asilo, una scritta in tedesco dipinta su un’assicella in legno, kinder (…), un recinto di legno entro il quale bambini biondi e sommessamente vocianti giocavano coi loro giochi, pure essi in legno. Un mondo a misura di fiaba, dove i bambini parevano essere al sicuro, forse troppo bello, sospeso, incantato, per essere vero, per essere veramente sicuro.
E poi, macchie gialle di fiori, intere distese di fiorellini gialli su tutto quel verde di prati che salivano verso il bianco e l’azzurro, se alzavi lo sguardo oltre la linea dei boschi. I sentieri erano delle striscioline tirate col gessetto sui prati, si aveva l’impressione di essere finiti al centro di un modellino della Lego, casette, sentieri, prati, chiesetta, scuola per bambini, tutto concentrato in una conca verdissima, isolata dal resto del Mondo da quella galleria magica. Dove stavano le guerre, le carestie, le crisi economiche, la fame, gli omicidi? Stava tutto, tutto oltre la galleria magica, che divideva il resto del mondo da Campo Blenio.
Qui, in questa sorta di modellino fatato, il Male non esisteva. Era talmente bello, da essere insopportabile, straniante, tale da procurare la sensazione di stare al centro di un sogno, una sensazione semi psicotica, che si cancellò, con un colpo di spugna, quando io e R*** varcammo la magica galleria, in senso opposto. Ancora adesso che ne scrivo, sono colto dal dubbio che quel posto sia sempre esistito solo nella mia fantasia. O in qualche libro di fiabe nordiche. 
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