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Giorgio de Chirico

COSA ASPETTARSI DAL FUTURO

COSA ASPETTARSI DAL FUTURO

(ovvero l’antifascismo di convenienza dei nuovi fascisti e l’apparente fascismo sincero dei vecchi comunisti traditi che gridano vendetta/la necessità di una critica della Dissidenza Controllata/chi critica i critici?)

Scurati in presenza di fascismo vero sarebbe da quella parte là. Come lo sono stati la maggior parte degli “intellettuali” durante il Ventennio. Schiena dritta? Uno su cento.

Se non si appartiene al mucchio, di questi tempi è facile farsi prendere dal panico. Se non ci si trova sullo stesso carro della maggioranza, se non si canta la stessa canzone, se non si marcia allo stesso passo, se si è “fuori” dai circuiti ufficiali, è molto dura. Non condividere i valori della maggioranza, non aderire al suo “stile” significa essere “fuori”. Magari, come nel mio caso, e credo di molti altri che tacciono e non si esprimono, appartenervi ma non volerlo esprimere e dichiarare urlandolo e gridandolo, per non sottostare al ricatto. Non voler cantare nel coro, non aggregarsi, non fare mucchio. Eppure, basterebbe così poco: basterebbe farsi un paio di tatuaggi, postare qualche idiozia sul proprio profilo social, mettere la gif di una bandiera arcobaleno e dire almeno una volta pubblicamente di essere antifascista. Basterebbe, almeno una volta – perché UNA VOLTA E’ PER SEMPRE – fare una di queste azioni/dichiarazioni, anche mentendo o controvoglia, e si sarebbe salvi PER SEMPRE. Provenendo da un secolo, il ‘900, nel quale sincerità e pragmatismo, onestà intellettuale e limpidezza erano la regola diffusa in tutti i campi, io, come credo molti altri non allineati al dovere di essere conformi, non sento né il bisogno né il dovere di dichiararmi antifascista, pur non avendo il fascismo in simpatia, non nutro la necessità di fare una dichiarazione a premessa di ogni discorso, che genera il sospetto essere una dichiarazione più dovuta che voluta, una Excusatio non petita,  un piede di porco per inserirsi oltre le porte giuste, che altrimenti resterebbero chiuse. Preferisco, allora, che quelle porte rimangano tali, il mio antifascismo me lo tengo per me, non lo condivido perché condividerlo e gridarlo, significherebbe diventare fascista per effetto di rimbalzo, diventare gregario e squadrista. Preferisco restare un individuo isolato e fare i conti con me stesso, piuttosto che dare giustificazioni al mio solo fatto di esistere respirare e, magari, scrivere. Ma una sola di queste azioni/dichiarazioni, potrebbe significare, subito, migliaia di follower. E, dal momento in cui inizi ad avere migliaia di follower, ogni porta ti si apre davanti agli occhi, editoria in primis, comunicazione, giornalismo, spettacolo, e via dicendo. Basta veramente poco. Ma è davvero, così poco? E’ un piccolo sforzo che veramente non comporta alcun sacrificio? O, al contrario, comporta un sacrificio che mette a rischio tutti i Nostri valori fondanti? Siamo disposti a sacrificare la Nostra anima per avere follower? Se lo facciamo, stiamo stringendo un patto; con chi?

Purtroppo, io e suppongo “altri” scrittori del “mondo sommerso” non apparteniamo né al coro di chi canta bella ciao (pur avendola cantata da bambini alle manifestazioni in spalla ai loro Padri e nonni ai tempi di Berlinguer e Luciano Lama), e nemmeno al “dissenso pilotato” dei vari Diego Fusaro e Davide Brullo (quest’ultimo meno conosciuto del primo, romanziere mancato che riversa nella critica la violenza verbale – randellate dal raffinato ed elaborato sapore di un certo estetismo fascista e litri di olio di ricino, inventore della “magnifica” rubrica intitolata sprezzantemente “il bastone e la carota” – di un’arte frustrata, ma che è stato capace, grazie al linguaggio che ha elaborato – marketing riuscitissimo, impeccabile, assai mimetico – verboso e pseudo barocco, di passare per giocoliere e addirittura sciamano, costruendosi una nicchia sicura di pubblico in cui sguazzare in una sorta di micro mainstream alternativo al grande mainstream ufficiale, dove fustigare la cultura ufficiale con le sue stroncature piene di un tono di “merdosa” e piccoloborghese e D’Annunziana superiorità intellettuale verso il popolo bue che ha la sfortuna di doverlo leggere, ed esserne “educato ed edotto”, di sorbirsi una scrittura che, mentre ti blandisce e persuade col bel linguaggio, ti intossica coi suoi metaboliti subliminali intrisi di paranoia, dove il Brullo se la prende regolarmente con lo sfigato/sprovveduto romanziere di turno, galoppino dell’editoria mainstream, pedina senza alcuna colpa sulla scacchiera in cui si gioca una partita molto più grande di lui, e che ha il dovere di accettare l’umiliazione senza fiatare), espressione di un Potere (di Sinistra? Antifascista capital finanziario Soros-teleguidato?) che è riuscito a produrre i propri anticorpi contro il virus di una vera rivoluzione, di un vero ribaltone, che non ci sarà mai. Perché anche questi “pseudo dissidenti del Potere”, come dei virus, dei parassiti (sul fronte opposto, vedasi figure come – chi se lo ricorda – l’attore Paolo Rossi Vs Berlusconi, Crozza Vs tutti – quelli che gli conviene) hanno bisogno che il corpo in cui si sono insediati sopravviva, per continuare ad esistere. Che fine hanno fatto i veri critici, Piero Citati, con il suo stile mite e “alto” ma che non le mandava a dire, o Walter Pedullà, capace di estremi contorsionismi, ma sempre animato da rispetto e passione, non mai da invidie o conti in sospeso. Credo che la critica debba essere una vocazione, e non un ripiego, non il rifugio da un fallimento in ambito artistico, altrimenti diventa vendetta, regolamento di conti. Chi si accorge al giorno d’oggi di questa differenza? Non credo chi segue questi dissidenti da strapazzo. In un mondo di intossicati, dove alberga la scarsa lucidità mentale in ogni ambito, c’è poco da aspettarsi da ambo le parti, sia di chi scrive, che di chi legge.

La maggior parte della gente, di quella che oggi ha dai quarant’anni in giù, il patto col Diavolo lo ha già fatto senza porsi alcun interrogativo, in maniera, diremmo, automatica. La cultura giovanile, da qualche anno, è completamente in mano al Mercato. Il Mercato ne plasma completamente le abitudini, le credenze, i miti, le convinzioni politiche, e le convenzioni sociali, tra cui quelle imposte dal politicamente corretto. Oltre a questa sorta di imprinting sin dalla nascita, le nuove generazioni non hanno alcuna curiosità su quello che è il passato, non sentono il bisogno di apprendere da chi è venuto prima, si accontentano delle informazioni che il Mercato, dopo accurato filtraggio, offre tramite il mainstream, facilmente recuperabili con apposite app fornite dal Mercato stesso. Se avessero una anche minima voglia di confrontarsi col passato, non sarebbero così presuntuosamente ignoranti da dare alle stampe certi libri. Capitano sotto mano libri scritti in una tale maniera, che la domanda che viene da porci è: ma questi qui, hanno mai letto un Moravia o un Leonardo Sciascia? La risposta è sicuramente: no. Perché altrimenti: o non scriverebbero affatto, rinuncerebbero in partenza, o si sforzerebbero di fare della vera scrittura, non di mettere giù semplicemente quella poltiglia di parole senza senso, infarcite di retorica, a volte così auliche da rasentare il ridicolo, lo sfacciato, l’ingenuità più imperdonabile in chi dovrebbe rappresentare la classe intellettuale, che il marketing editoriale di oggi spaccia per romanzi. Ma il problema, sta a monte, non è tutta colpa degli pseudo scrittori in circolazione, ma di chi li pubblica, ovvero, gli (pseudo) editori di oggi. La verità è che la cultura è morta e sepolta. La critica non esiste più da un pezzo. Chi ancora si arrischia a praticarla, o si becca una querela, o viene isolato mediaticamente. Ad ogni livello, il dissenso, il “No”, il non essere d’accordo o il criticare, non sono ammessi. Al contrario, viviamo immersi in un flusso informativo serrato, in cui circola però solo un’unica versione dei fatti, un unico pensiero, avvalorati da un unico significato di riferimento, non più trascendente (etico, morale), ma immanente: il danaro. Una volta, al suo posto, c’era Dio. C’erano il bene e il male, il Paradiso e l’Inferno, oppure c’erano i Partiti Politici, versione laica del sentimento religioso, che imponevano una linea, una condotta, una morale. Ora, c’è il Dio Profitto, ciò che fa guadagnare, e ciò che non fa guadagnare, che moralizza secondo la Legge di ciò che è più conveniente, non di ciò che è più giusto.

Intorno al 2010 feci una telefonata a una nota Casa Editrice di Sinistra, rispose una giovane e trafelata redattrice, alla quale chiesi notizie di una loro Autrice, colpevole di aver scritto un capolavoro sulle economie criminali. O forse era il 2015? Non importa, a importare è la risposta arrogante e villana della redattrice, che con tono sprezzante dice che colei di cui chiedevo copia stampa non era più una loro Autrice, lo disse caricando quel tono mefitico e isterico di un giudizio difficile da descrivere tanto era schifoso e vile, e che quindi non mi mandavano la copia stampa che richiedevo. Un episodio sgradevole, sul quale a lungo mi interrogai, cercai di dare un significato logico, e che mi comunicò un sentimento altrettanto sgradevole sul mondo dell’editoria cosiddetta mainstream e di Sinistra. Su quella brava e coraggiosa Autrice naturalizzata inglese, esperta di economie terroristiche e trame occulte, era evidentemente calato il sipario, non era più gradita. Aveva toccato tasti che non andavano toccati, perché, come compresi più tardi, questa Casa Editrice (di grande filosofia, nota per la sua divulgazione di Jean-Paul Sartre, ad esempio, o Merleau-Ponty, e tanti altri pezzi da novanta del ‘900), come anche un Editore torinese noto sino a pochi anni prima per il suo grande rigore scientifico, si stava convertendo al Dio Mercato, quel Mercato che, pure, la Nostra povera Autrice epurata dal mainstream aveva messo a nudo: Voi, che siete tra i pochi che mi leggete ancora, fatevi un giro sul loro catalogo, e confrontate gli Autori che pubblicano oggi, con quelli del passato (confrontate anche i saggisti che oggi pubblicano con l’Editore che fu quello delle Opere Complete di Freud, con la linea editoriale che questo un tempo glorioso editore aveva sino alla fine del secolo scorso), e fatevi una domanda: come può coesistere nel cuore di un Editore un passato glorioso fatto di quei nomi, e un presente così squallido, fatto dei nomuncoli di oggi? C’è un’unica risposta, il benefit chiamato profitto. Il vantaggio di guadagnare, ma anche quello, non minore, di apparire aggiornato ai tempi. Tempi, ovviamente, di dissoluzione, tempi, come direbbe appunto la Nostra Autrice, abitati dall’arroganza di corte e dall’ipocrisia dei grandi Imperi in fase di decadenza. A dettare le regole di corte, oggi, è il politicamente corretto, che si avvale anche degli algoritmi per plasmare gusti scelte e idee, in fatto politico, ma anche culturale, editoriale, orientando i costumi, i miti giovanili, che diventeranno schemi comportamentali stabili nella vita adulta. Ci chiediamo, cosa saranno i ventenni e i trentenni di oggi fra dieci o vent’anni? Quali ruoli avranno, saranno i futuri governanti, primari ospedalieri, avvocati, dirigenti? Quale prospettiva ci attende? Probabilmente la piena realizzazione di un mondo perfetto, senza conflitti, senza dissenso, colmo di armonia e obbedienza, la piena realizzazione di un mondo distopico, di cui oggi vediamo solo le avvisaglie e i grandi preparativi, ma che sarà probabilmente terribile. Ma Noi della Nostra generazione non ci saremo più, e grazie a questo semplice fatto, il Passato e la Storia saranno per sempre stati cancellati, e non più rinnovati perché i libri non esisteranno più, non saranno più fonte di stimolo o di inquietudine negli abitatori della Società in cui ogni sapere sarà abolito, perché capace di ingenerare inquietudine, stress emotivo, possibile critica e messa in discussione. Anche gli orologi verranno aboliti, in modo da cancellare il tempo e, di conseguenza, la coscienza, la progettualità, l’attesa. Non ci sarà passato, ma nemmeno futuro, e si vivrà un Presente eternato e senza particolari dolori. Si vivrà in un mondo simile alle sale da biliardo, dove si gioca d’azzardo e ci si fa le scarpe a vicenda, ma con le finestre oscurate e senza gli orologi, in modo che la vicendevole tortura, questo bellissimo gioco ricreativo, questo edonistico gusto per il perverso, continui all’infinito, senza giorno né notte, senza fame o sete, senza alcun bisogno che distragga dal gioco stesso.

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