IL NUOVO CATECHISMO
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Erano loro ancora una volta. Vide sotto casa sua un gruppo di nigeriani che si sfidava con pugni e bottiglie rotte. La polizia non si vedeva mai. Circolava voce che avesse l’ordine di non intervenire per nessuna ragione. Le Istituzioni erano come scomparse. Implose. I poliziotti guardavano le scene di violenza e se ne tenevano fuori per paura di lasciarci la vita. Col concetto di eccesso di legittima difesa si aveva legato le mani anche alle Forze dell’Ordine, che non erano più motivate a intervenire. Il cittadino non poteva nemmeno lui difendersi, il rischio di passare dalla parte del torto era sempre dietro l’angolo. Al cittadino si imponeva di obbedire, pagare le tasse, votare per mantenere in essere una finta democrazia, e infine non difendersi. Questo era il risultato voluto dai Poteri Forti, dalla finanza occulta, dai cravattari di Davos, che erano infine riusciti a mettere le mani sui diritti fondamentali delle persone, con una campagna mediatica battente che durava da quindici anni su immigrazione forzata, sub cultura arcobaleno e politicamente corretta, inclusione e sostenibilità – un vero e proprio catechismo etico politico calato dall’alto – al fine di avere una popolazione completamente ipnotizzata e ammansita, disposta a sopportare silenziosamente tutto. I vari comandamenti sul politicamente corretto, sull’inclusione e la sostenibilità erano stati portati avanti per una volontà di dominio sull’uomo. Con le continue iniezioni di propaganda sul green e i diritti civili, la sostenibilità e l’eguaglianza, era stato raggiunto con successo l’azzeramento delle coscienze e delle volontà: ovvero, l’obiettivo biopolitico di una popolazione lobotomizzata e inoffensiva. L’ossessione progressista dell’uguaglianza in ogni ambito, aveva dato libero corso al prevalere dei mediocri e delle mezze calzette. Aveva trascinato verso il basso l’intera Nazione e chi poteva distinguersi con le proprie capacità. Tutto ciò che usciva dallo schema era sospetto e andava riallineato.
Il libro del generale Vannacci ha raggiunto lo scopo. Da qualunque parte lo si guardi, ha smascherato una società che non vuole pensare, non vuole speculare, non vuole domande. (…) La libertà di espressione è un fondamento della nostra civilissima società, tranne se la usi, ossia dici cose controcorrente. Quel famoso articolo 21 della Costituzione, a cui una certa sinistra ha addirittura intitolato un movimento, non si applica quando si esprimono idee indigeste. L’esercizio di tale libertà non solo è vietato ma deve comportare delle punizioni. Il problema è che quell’articolo fu scritto proprio per consentire di esprimere concetti alternativi, eretici, contrari al comune sentire o a quel sentire che il potere vorrebbe che fosse comune. Infatti in questo caso proprio il fatto che siano considerazioni di buon senso ampiamente condivise, seppur silenziosamente e con la giusta riservatezza per non disturbare il politically correct, ha fatto infuriare esacerbando la censura. Questo atteggiamento è tipico delle dittature ed è ciò che le fa implodere perché ogni tesi, per quanto valida, senza un’antitesi non progredisce. Che è poi il cortocircuito filosofico di Marx, della rivoluzione che nasce dalla lotta di classe per finire in una società senza classi e dunque senza più storia. Ma queste sono cose complicate. A noi basta mandare al rogo Vannacci, salvo poi celebrare Galileo e Giordano Bruno perché vittime della loro parola (https://www.ilgiornale.it/news/politica/vittorie-libro-scomodo-2199124.html).
Il politically correct si è imposto nelle nostre vite tramite una martellante opera di propaganda. Esso sostiene che siamo noi i colpevoli dei mali del mondo, per cui dobbiamo espiare i peccati rinunciando alla nostra identità, per dissolverci nel magma di un mondo dalle identità fluide.
Il ’68 e il conformismo di pensiero che ha prodotto, rappresenta una rivoluzione culturale che ha determinato una enorme frattura nella storia politica del Novecento. Le categorie, la terminologia, i luoghi comuni, il conformismo di pensiero che connotano attualmente le classi dirigenti delle democrazie industrializzate, riportano in linea diretta alla rivoluzione del ’68, con un insieme di regole e di censure, delegittimazioni, edulcorazioni linguistiche che oggi chiamiamo politically correct, ovvero: un catechismo civile, una somma di precetti, di divieti, di censure in cui si compendia la retorica di un’ideologia ben precisa: quello che possiamo chiamare neo-progressismo, ideologia dell’Altro, utopia diversitaria (per dirla con Mathieu Bock-Coté)… Ossia l’ideologia che condanna in blocco come imperialista e discriminatoria la cultura euro-occidentale, e progetta di cambiare la mentalità dell’umanità per sostituirla con un radicale relativismo culturale ed etico. E’ una retorica che  è diventata il tratto distintivo delle élites politiche, intellettuali, istituzionali, mediatiche, e dell’intrattenimento di massa in Occidente tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, conquistando un sostanziale monopolio sul linguaggio e sull’etica pubblica, in assenza di “narrazioni” contrapposte dotate di pari rappresentatività.  (https://lanuovabq.it/it/politically-correct-e-colpa-nostra-come-catechismo).
Esso è entrato nelle nostre vite: con una martellante opera di propaganda, di estensione e profondità “orwelliane”, che pretende di eliminare dai prodotti culturali, dalla dialettica politica, dai comportamenti pubblici e privati, dai luoghi della formazione, ogni termine o concetto che possano essere considerati “discriminatori”, “offensivi”, espressioni di una concezione gerarchica e di valori “forti”, per imporre un’idea di “rispetto” che in effetti coincide con un totale indifferentismo, nel quale la “verità” politica è decisa volta a volta dalle élite che “dettano la linea” alle società (https://lanuovabq.it/it/politically-correct-e-colpa-nostra-come-catechismo).
Con il potere penetrante del linguaggio e della censura, il nuovo progressismo: non rivendica più l’instaurazione della libertà, dell’uguaglianza o della giustizia attraverso misure economiche o provvedimenti politici, ma pretende invece di estirpare le radici del dominio e delle discriminazioni presenti, a suo dire, nella storia culturale occidentale attraverso un radicale processo di modificazione del modo di pensare, dei concetti, del linguaggio. Un obiettivo che in realtà rappresenta un vero e proprio azzeramento, un “parricidio” delle radici culturali occidentali. Se l’uomo occidentale storicamente ha incarnato la violenza, la repressione, l’imperialismo, egli deve essere “rieducato” accogliendo tutti i modelli culturali, tutte le condizioni esistenziali, tutte le componenti minoritarie che ha soggiogato in passato per rinnovarsi e rigenerarsi. L'”altro”, ridotto ad un concetto astratto, diventa il salvatore, il redentore di una storia sbagliata, e la radice di una nuova civiltà più gentile, tollerante, in cui i conflitti, una volta eliminato il “peccato originale” del dominio, della gerarchia, del “pensiero forte”, dovrebbero sparire (https://lanuovabq.it/it/politically-correct-e-colpa-nostra-come-catechismo).
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