LA COMUNITAGAY SI ARRABBIERA’ PER IL LIBRO DI FABIO CROCE?
Quella del titolo – LA COMUNITAGAY SI ARRABBIERA’ PER IL LIBRO DI FABIO CROCE? – è una domanda che sorge lecita, e forse anche doverosa.
Fabio Croce – da poco reduce da un premio ricevuto dalla Giuria letteraria del Nobel, per il suo impegno civile dimostrato in decenni di attivismo culturale a difesa dei diritti gay, e umani – ha scritto un apologo moderno, che ha il sapore anche dell’atto d’accusa di certi stili di comportamento consolidati nel mondo omosessuale.
Fabio Croce, con lo stesso linguaggio adottato nel libro, un linguaggio terso, senza troppi compiacimenti estetici, tanto asciutto da evitare ogni inutile descrizione e coinvolgimento emotivo, da sembrare a volte quello di un dispaccio telegrafico, sembra voler prendere le distanze dal mondo che descrive, sottrarre ad esso ogni valenza estetica, e forse anche letteraria, e dedicargli solo lo sforzo che richiede la stesura della trama, nuda e cruda, perché qui è la trama che conta, e non il contorno, come in una sorta di Rapporto di Polizia: stiamo parlando, infatti, di una vittima, ma forse anche di più vittime, sulla scena di un delitto consumato nella civiltà dei consumi, dei fast-food, anche se ad essere consumati non sono panini, ma rapporti sessuali, e sentimentali.
Inizia tutto a Milano, nell’abitazione di Giulia e Paolo (una coppia di cinquantenni, professionisti), una sera di giugno del 2018, durante una visita di amici. Scoppia un litigio fra i due. Volano insulti, c’è stress e disperazione nell’aria, c’è aria di chiuso, di troppe sigarette fumate con rabbia da Giulia, troppo vino da lei bevuto, come reazione all’apatia di un compagno (Paolo) che non la tocca da mesi, un mollaccione remissivo e senza palle, ma al quale lei, tutto sommato, vuole bene. Sono molto realistici gli scambi di battute, lo spaccato di un interno abitativo asfittico dominato da una routine svilente, che ha eroso ogni volontà di comunicare, di sorprendersi ancora per la presenza dell’altro. I due, ormai, si sopportano e basta, vivono il loro rapporto con infinita stanchezza e noia, e il lettore ha l’impressione siano nella condizione di doversi al più presto lasciare, per la propria integrità psichica, o rivolgere a un terapeuta di coppia. Nel giro di un anno, e nel giro di sole 140 pagine di facile e avvincente lettura, le vite di Giulia e Paolo saranno stravolte. E mentre Giulia sarà troppo presa nel proprio tragico destino per aspettare il ritorno di Paolo come Penelope, Paolo farà il giro del Mondo, navigherà in mari sconosciuti, lotterà contro una serie di entità quasi mitologiche, comprese le Sirene, e tornerà a Itaca, proprio come dopo un’Odissea, per ritrovare se stesso, (ma non Giulia) un Sé che aveva smarrito, ma che ritroverà grazie alle prove della perdita, e della solitudine. Un libro drammatico, commuovente, che racconta l’odissea quotidiana di chi lotta contro gli ingabbiamenti sociali imposti da una Società che vive di stereotipi e facili certezze, di un benessere dato per scontato, e tuttavia vuole trovare la propria strada, la propria identità, il proprio senso alla propria esistenza, a costo di stravolgere tutto, perdere tutto. Ma per fortuna, il libro ci offre un lieto fine, non un vissero felici e contenti, ma qualcosa di più, perché il protagonista, Paolo, alla fine ritrova il suo più grande amore: l’amore di sé, l’autostima, l’autonomia, quel fertile terreno interiore che lo renderà pronto anche per l’amore, un amore che non aveva vissuto mai, né coi suoi famigliari, né con Giulia, né con Andrea.
Sì, Andrea, una delle Sirene che, in quell’anno di Odissea in giro per i perigliosi mari della comunità gay, Paolo aveva incontrato, restandone a lungo traumatizzato e ossessionato.
Delle vicende di un cinquantenne milanese (Paolo), che si scopre tutto a un tratto gay, e vede crollare la propria vita, Strani Amori (Croce Editore, 2019), non vuole dare una lettura moralistica, ma offrire uno spaccato netto, oggettivo, psicologico e sociale. Malgrado la leggerezza del linguaggio, il libro non evita di porre l’accento in maniera critica sulle dinamiche mercantili che governano gli istinti libidici nelle notti gay – in questo caso milanesi – animate da anziani che sono descritti come perdenti bolsi e viziosi, pronti a farsi abbindolare per qualche promessa da parte di giovani gay spregiudicati, molto abili nell’arte amatoria (Andrea), a caccia di certezze materiali, in cambio delle quali sono disposti a cedere – di volta in volta – un piccolo pezzetto della propria anima, a dichiarare amicizia eterna, sempre nell’ambito di un sottile gioco delle parti, di un sapiente dosaggio nel darsi & sottrarsi, nel quale emerge il ritratto di un mondo sommerso, apparentemente cinico. Che cinico non è. Al contrario, anche nella promiscuità che lo contraddistingue, sembra affacciarsi una grande domanda d’amore.
Andrea viene descritto come una puttana, una marchetta, uno che lo dà facilmente, pur di farsi strada nel mondo dello spettacolo, ma che finisce per essere vittima della propria ingenuità, di se stesso, della propria ignoranza, malgrado sembri molto furbo. Finisce solo per inseguire vani sogni di successo, per continuare a usare gli altri, e essere usato. Una figura triste, che di gay (allegro, gaio) non ha proprio nulla, nulla di quell’orgoglio gay che invece ci parla di sentimenti assoluti, come seppe fare Oscar Wilde, dall’alto del suo libertinismo estetizzante, colto e libero da sovrastrutture, o Giovanni Comisso, nel suo Sodalizio con Filippo de Pisis. André Gide difatti, in una dichiarazione postuma rispetto alla pubblicazione de L’immoralista, afferma: «Sapersi liberare non è niente, il difficile è saper essere libero.» Andrea insegue il culto di una vita libera e spregiudicata, libera dall’impegno, da ogni legame che sente come un capestro, e si immola – imprigionando se stesso – in un dogma di origine mercantile: concedersi per ottenere privilegi.
Paolo invece è un uomo per bene, una persona affidabile, che trasferisce nell’infernale girone notturno degli scambi mercantili tra giovani e anziani omosessuali, i suoi valori di amore, onestà, pulizia di sentimenti. Forse compie un errore sin dall’inizio:
scambia per una promessa d’amore l’amplesso con una persona (Andrea) conosciuta la sera del suo compleanno, grazie al regalo che gli fa Giulia (tanto per animare le loro esistenze), ovvero, una serata in un esclusivo club di incontri per etero omo e bisex. Un luogo sordido, nel quale si incrociano per un momento di sesso senza futuro, un sesso consumato come un panino (fast-food) le vite di professionisti, gente comune, persone dello spettacolo, libidinosi assortiti e insospettabili. E allora mi chiedo: LA COMUNITAGAY SI ARRABBIERA’ PER IL LIBRO DI FABIO CROCE?
Non sapremo mai se Andrea fosse realmente innamorato di Paolo, dei suoi occhi profondi, e della sua aria matura, o fosse solo a caccia di sensazioni. Nel corso dei tre mesi di relazione, che stravolgeranno la vita di Paolo, questi non poteva rappresentare l’uomo della svolta professionale, uno di quegli anziani gay introdotti nello spettacolo che Andrea continuava a inseguire, sperando di potersi fermare con quello giusto. Sappiamo solo che Andrea si riempiva la bocca di parole come amore e amicizia, solo per nascondere la propria vera natura, la natura squallida di un marchettaro fallito. Alla fine, però, ci viene anche il dubbio che Paolo sia stato il suo vero, più grande amore, sciupato dalla sua inesauribile ansia di successo, per la quale non poteva viversi un amore vero e sincero, senza altre aspettative.
Paolo scopre, con Andrea, parti di sé completamente sconosciute. Si immerge in un viaggio apparentemente senza ritorno, perché per un momento si perde e cede alla disperazione: dopo aver dato tutto se stesso in questa relazione, perde Andrea, e con Andrea perde quella immagine di sé (felice, giovane, bella e volitiva) di cui si era finalmente appropriato, dopo gli anni mortificanti passati con Giulia. Il lutto che ne consegue lo proietta in ripetuti tentativi di rimpiazzare la figura del suo amore perduto, tramite avventure fuggevoli e tentativi mal riusciti di relazione stabile. Ma il leitmotiv della storia è sempre lo stesso: Paolo continua a legarsi a persone distaccate e anaffettive, troppo prese dal proprio ego, dalla propria carriera, per potersi concedere totalmente. E che, quando avvertono la sua angoscia di fondo, il suo desiderio totalizzante, si allontanano. Paolo inizia a interrogarsi, e si domanda se forse non sia lui stesso una persona distruttiva, incapace di prendere quello che la vita gli porge, senza pretendere ciò che il suo partner non è in grado di dargli.
Il ritratto che ne esce, della comunità gay, è un ritratto afflitto da molte ombre. Le quali sono date dall’eccesso di promiscuità, di volgarità libidinosa spesa in una girandola di incontri affannosi, affamati, voraci e poco rispettosi. Ombre dovute anche alla diffusa pratica della marchetta. Ma non credo si tratti di un male che affligge solo la comunità gay. Basta dare uno sguardo all’attualità, farsi un giro per i siti Internet eterosessuali, per comprendere che il mondo etero non è affatto diverso, e se di mali dobbiamo parlare, in quello etero ce n’è uno ben maggiore del marchettaggio ad affliggerlo, ed è quello ormai del continuo femminicidio.
Il finale – a un anno esatto dall’inizio – ci offre la figura di un Paolo che, nel frattempo, sembra essere vissuto non uno, ma dieci, o venti anni. Per Paolo quel suo ultimo anno valeva una vita intera. In un anno, aveva sperimentato tutto, proprio tutto – Morte compresa – ciò che compone il duro cammino formativo di una persona, dall’adolescenza alla vita adulta. Era partito, la sera del suo compleanno di un anno prima, da adolescente irrisolto e inconsapevole, e aveva percorso tutte le tappe evolutive, sino a giungere alla conquista di una vera maturità, spirituale prima che anagrafica. Forse, il rapporto con Giulia era stato amniotico e protettivo, e il liberarsene, in maniera traumatica, lo aveva gettato nella vita vera, quella in cui si ama, si vive e si soffre veramente. Diventando uomo, una volta per tutte. 
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