MARGINALITA’ E DEVIANZA MINORILE NELL’IMMAGINARIO E NEL TRATTAMENTO PEDAGOGICO[1]
Nell’ambito delle scienze pedagogiche e dell’educazione, il concetto e lo stato di devianza costituiscono oggetto di riflessione ed intervento, in quanto considerati patologie sociali e psichiche. La lettura del problema della devianza viene relativizzata in pedagogia dal punto di vista sociologico, psicologico ed antropologico, in quanto devianza coincide con diversità.
Secondo Durkheim il criterio di normalità dipende dall’esistenza di criteri normativi che risultano dalla necessità di integrazione sociale, per cui la comunità ridefinisce i confini tra normalità e patologia, tra conformità e devianza.
Il comportamento “folle” in rapporto all’etica della collettività è codificato come azione danneggiante il “bene comune”, per cui subentra il gesto pedagogico del “punire per educare”. La pedagogia consiste nell’arte di prevenzione e correzione dei comportamenti, delle attitudini, degli stili di vita che esulano e vanno contro le norme, le leggi, la morale, ed i costumi etici riconosciuti dalla comunità. Nel XIX secolo si assiste allo sviluppo delle scienze sociali e dell’uomo per oggettivare l’individuo, per circoscriverlo come soggetto, analizzando la sua personalità, i comportamenti, le abitudini, gli stili di vita: quindi si afferma un globale interesse scientifico per l’individualità del soggetto.
L’affermazione delle istanze materialiste ed evoluzioniste di Darwin portano alla definizione della teoria positivista della devianza. Infatti Lombroso individua le caratteristiche del soggetto criminale e avanza la teoria della tipologia antropologica sui generis del criminale. Si considera la capacità di intendere e di volere del soggetto criminoso, come responsabile in primis della propria condotta. Per questo nel XIX secolo la psichiatria si pone come scienza della personalità patologica, anormale e deviante.
Secondo Freud e l’approccio psicoanalitico, la criminalità è determinata dall’individuazione del senso di colpa nel crimine che al delinquente sembra meno pericoloso delle colpe somme, come il parricidio o l’incesto.
Secondo Winnicott l’individuo compie l’atto criminoso per la sostanziale incapacità di avvertire il senso di colpa, come per Adler il crimine deriva da un profondo senso di inferiorità.
Erikson sostiene che la definizione dell’identità del soggetto richiede reciprocità sociale, nel modo in cui gli altri si pongono nei confronti dell’individuo. Dalle relazioni interpersonali possono generarsi meccanismi antisociali, dinamiche di dispersione della personalità, dovute all’incapacità del soggetto di elaborare l’integrazione e la continuità dell’immagine del sé, con la conseguente cristallizzazione dell’io, che ricerca invano la propria identità nella confusività.
Secondo il sociologo Durkheim il rapporto tra la divisione del lavoro e la produzione crea conflitti sociali, elemento costante della società capitalista. Gli individui in tale contesto sono a rischio di anomia rispetto alla comunità. Quindi se la società produce devianza, la responsabilità non è più attribuibile a fattori causali di tipo biologico, antropologico e medico psichiatrico. Infatti la Scuola di Chicago sosterrà uno stretto rapporto tra ambiente e personalità patologica.
Parsons interpreta la devianza come la socializzazione mancata, non riuscita, come patologia psicologica e sociale, per cui la società deve attuare meccanismi di controllo e prevenzione. In Italia nel 1934 viene istituito il tribunale dei minori, in pieno periodo fascista. Si considera e definisce il minore come traviato che necessita di punizione e correzione. In seguito si costituiranno istituzioni speciali per la rieducazione ed il reinserimento del giovane deviante, su ispirazione delle teorie di Freire che, con “La pedagogia degli oppressi”, individua il disagio socioculturale come conseguenza del fenomeno capitalista e gli studi di Illich che con “descolarizzare la Società” auspica una pedagogia antiistituzionale contro il ruolo totalizzante della scuola.
Le attuali correnti di pensiero pedagogico vedono nel deviante un soggetto attivo che partecipa ad un contesto interattivo ed intenzionale, in opposizione alla logica degli istituti speciali, per cui la nuova tendenza educativa mira a ristabilire la centralità del soggetto, come essere interrelazionale, in rapporto con l’altro da sé, nell’ambito dei luoghi dell’educazione: la comunità, la scuola, le associazioni aggregazionali, la strada.
Gli elaboratori pedagogici dell’adolescenza
Spesso l’approccio con l’adolescente risveglia il vissuto del formatore
Nell’immaginario sociale ma anche a livello scientifico l’adolescenza è stata considerata come un’età da “raddrizzare” (Locke) o come espressione di insite potenzialità (Rousseau). Lutte mette in crisi il paradigma adolescenziale inserendolo in un contesto storico sociale, come evento nato dall’industrializzazione e dall’aumento della scolarità.
Nella Pedagogia cristiana sussiste il mito dell’adolescente come portatore di colpa, mentre l’approccio laico considera i vari bisogni dell’adolescente:
-PRESCRITTIVITA’: esigenza di una guida (formatore, educatore, docente) per l’elaborazione della propria indipendenza e autonomia rispetto all’adulto.
In adolescenza è spesso presente il tema della morte, interpretabile come il morire alla propria infanzia, con la successiva esigenza di elaborazione del lutto.
-AVVENTURA: è vista come uno spazio di cambiamento, di esperienza e crescita. E’ un rituale iniziatico per comprendere la mappa cognitiva dell’universo adulto in cui l’adolescente deve inserirsi.
-RELAZIONE: la relazione può essere di tipo verticale (con adulto) e orizzontale (con i pari) per poi elaborare il distacco conclusivo dall’autorità, non vissuto come tradimento.
Sussistono diverse tipologie di adolescenza caratterizzate da
-il suicidio: paura e fascino del nulla della morte. Il suicidio in adolescenza rimane sempre un libro mai letto, mai interpretato.
-il femminile: l’elaborazione della propria identità, nella diversità di genere.
-la droga: non esiste solo la tossicodipendenza, ma molteplici altre dipendenze come i miti del successo, i massmedia, la musica, la religione, il calcio, ovviamente portati all’eccesso.
L’obiettivo di un sensato e corretto apporto educativo consiste nel favorire lo sviluppo e la consapevolezza di sé nell’adolescente, incrementando la fiducia nelle proprie capacità, per costruire un’identità positiva e non più un “caso sociale”. Il sé si organizza e consolida nel corso delle interazioni con gli altri.
Secondo le modalità autoreferenziali, l’altro è lo specchio del sé, oltre il sé, e proprio questo rapportarsi e relazionarsi è il primo obiettivo di autonomia nei progetti educativi.
L’apice del cambiamento dello sviluppo si raggiunge nella capacità di stare da soli e riconciliarsi con le figure parentali dell’infanzia per costruirsi un’identità positiva…forse diventare adulti è un problema di normale solitudine. 
[1] Articolo tratto dal corso di  Pedagogia dell’Adolescenza, a.a. 2001/2002 Università di Milano II,  Bicocca
©, 2003
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