Victor Kemplerer I DIARI DELL’OLOCAUSTO
TESTIMONIARE FINO ALL’ULTIMO:
Victor Kemplerer è stato docente di lingue romanze presso l’università di Dresda. Gli appunti di Kemplerer relativi alla situazione della Germania durante il nazifascismo, e i diari dell’olocausto, sono stati pubblicati solo recentemente, nel 1995, quindi cinquant’anni dopo la fine della guerra. Tali annotazioni diaristiche furono curate e redatte da un ex allievo di Kemplerer, dopo la sua morte. Questa pubblicazione, così tardiva, stupisce per vari aspetti. Infatti furono molti i diari scritti in epoca nazionalsocialista pubblicati subito dopo la fine della guerra o negli immediati anni ’50 e ’60. La letteratura diaristica fu molto praticata nella Germania degli anni del nazismo: furono molti i testimoni a tenere un diario e parecchi scritti furono pubblicati subito dopo la grande guerra. Questo non fu il caso di Kemplerer. Innanzitutto il primo ostacolo alla pubblicazione dei diari del docente tedesco venne proprio dall’autore stesso, che non intendeva tali annotazioni indirizzate ad un pubblico, ma sostanzialmente private e personali. Mentre altri autori scrissero i loro diari in guerra o nei lager, già prevedendo un pubblico, quindi attribuendo alle pagine che descrivevano note del quotidiano, un taglio di tipo saggistico. Kemplerer ritenne sempre i suoi scritti come annotazioni private che, del resto, si inserivano in una consuetudine diaristica molto lunga, che proseguiva già dal suo diciassettesimo anno di età, e continuerà fino alla sua morte, nel febbraio del 1960. I diari di Kemplerer sono ormai stati pubblicati interamente solo nel 1995, e le loro pagine complessive ammontano circa a 8000 unità. Questo per dare idea della continuità ed assiduità con cui il nostro docente attese ad una così concreta fase di pratica diaristica. Kemplerer definisce i suoi diari “un’asta di equilibrio” per sopravvivere alla persecuzione e un modo di chiarificare sé stesso, le reazioni altrui, gli eventi circostanti, ed una modalità per rendersi consapevole delle proprie reazioni psicologiche, per comprendere le proprie risposte emotive e i moti d’animo che lui stesso registra, sempre in maniera impietosa, con molta sincerità, senza autoindulgenza. Ad esempio, arriva ad annotare delle sue reazioni di “gioia maligna”, oppure il suo egoismo nei confronti della moglie Eva, per cui nutrirà sensi di colpa. E’ da notare anche il coraggio nel riportare annotazioni ed informazioni rischiose, che avrebbero potuto comportare, una volta intercettate dalla Gestapo, la deportazione e la morte non solo dell’autore stesso, ma di tutte le persone che venivano ricordate e menzionate in tali note. La natura privata di questo filone diaristico, ha permesso, in altri casi di diari, un rimaneggiamento più o meno manipolatorio delle annotazioni al momento della pubblicazione, ed ha portato revisioni più o meno ambigue. Finita la guerra, alcuni di questi autori, più o meno noti – di diari – decisero di pubblicarli e, prevedendo un pubblico più ampio, intervennero rielaborando appunti, annotazioni ed informazioni che nascevano come privati. Questo ha apportato delle revisioni in qualche modo ambigue. In molti di questi diari si nota per esempio un tono autoassolutorio e autogiustificatorio per il comportamento avuto in quegli anni. Quindi la mancata pubblicazione dei diari di Kemplerer e l’inesistente revisione dei testi da parte del loro autore, costituiscono proprio fattori che hanno determinato l’attendibilità, la credibilità ed il fascino di tale produzione diaristica, che per la sua immediatezza e sincerità rappresenta un unicum nella letteratura diaristica che si sviluppa durante il nazismo. Il fatto che Kemplerer non rimise mano ai diari, ma lasciò tali annotazioni originali, così come erano, li rende talmente interessanti ed affascinanti. Kemplerer all’inizio degli anni 40 in realtà comincia a pensare ad una possibile pubblicazione dei suoi scritti. Il 23 novembre del 1942 scrive che, se non fosse riuscito a completare uno studio sulla lingua del terzo Reich, un’analisi filologica – che invece pubblicò a Berlino nel 1947 – avrebbe forse potuto pubblicare, una volta finita la guerra, le sue annotazioni diaristiche. A questo punto affiorano anche affermazioni con intenti pedagogici e di testimonianza. Il 27 marzo 1942, Kemplerer annota un frase “voglio testimoniare fino all’ultimo!”. Quindi comincia a balenare l’idea di pubblicare questi appunti come testimonianza del nazismo, e quindi in un certo senso non solo come note e riflessioni private e personali. Subito dopo la fine della guerra, Kemplerer riceve un’improbabile ed incerta possibilità di pubblicazione dei diari da parte di una casa editrice antifascista appena costituita. Quindi il direttore editoriale lo sollecita a recuperare i manoscritti e lui si rimette a leggerli e visionarli, ma, proprio quando comincia a commentarli, risulta indicativa la difficoltà di pubblicazione subito dopo la guerra.
Il 17 Luglio del 1945 in una nota di diario, Kemplerer sostiene di leggere le sue annotazioni e di trovarsi di fronte ad un materiale informe, nel quale non sa distinguere le parti troppo private o troppo pubbliche e che la loro edizione potrebbe danneggiare o, se non altro, infastidire le persone che lui cita nel corso delle annotazioni. Insomma, trae dei commenti da cui si evince che si trattava di un materiale ancora troppo recente e vicino cronologicamente ed affettivamente agli eventi storici appena trascorsi. Fu proprio dunque necessaria una sedimentazione storica per la pubblicazione di tali diari. Però, a questo punto, ci si può ovviamente chiedere perché non vennero pubblicati subito dopo la morte dell’autore. Kemplerer morì all’inizio del 1960, e fu una personalità piuttosto in vista della vita culturale tedesca, nella Germania dell’Est. Gli erano stati conferiti degli incarichi pubblici, delle onorificenze, cattedre universitarie, ed era molto noto per lo studio storico del nazionalsocialismo. Vi furono difficoltà materiali a pubblicare migliaia di pagine manoscritte pressochè illeggibili. Lo stesso curatore che fu aiutato in quest’operazione di raccolta dalla seconda moglie di Kemplerer, ha impiegato una decina di anni per compiere il lavoro di redazione ed edizione dei diari. Era indispensabile una grande disponibilità di manodopera, ossia, di persone  che attendessero al lavoro di trascrizione, ed anche una notevole disponibilità finanziaria, non facilmente reperibile. Prevale anche un’altra motivazione più sottile e complessa sulla quale tutti i recensori e i critici di tali diari sono rimasti sconvolti. Ossia, l’incompatibilità delle annotazioni critiche riguardanti il comunismo, e l’opinione comune che  regnava nella Germania Est del tempo. L’atteggiamento di Kemplerer nei confronti del comunismo è complesso e forse non privo di qualche ambiguità. Kemplerer, peraltro, dopo la guerra, rimase volutamente nella Germania est, e si iscrisse anche al partito comunista. All’inizio dei suoi diari, nel 1943 e ’44, equipara comunismo e nazismo, dicendo che entrambi sono regimi totalitaristi, che portano alla schiavitù e all’oppressione dell’individuo. Poi, un po’ alla volta, sfuma questo giudizio, fino a ritenere il comunismo il male minore.
“Se non altro infatti il comunismo a differenza del nazismo non si fa portatore di nessuna ideologia razziale” sostiene Kemplerer. Nel novembre del 1945, l’autore fa il suo ingresso nel partito comunista della Germania Est, che pare avvenire quasi ob torto collo, ed, insomma, l’evento non si configura come il frutto di un’adesione entusiastica di Kemplerer all’ideologia partitica dominante. In questi mesi Kemplerer fu attento ai fenomeni linguistici, affrontando la lingua tedesca con attenzione etica e tensione morale. Infatti, nei primi mesi dopo la guerra, pare rinvenire parecchie analogie tra la lingua del nazismo e l’idioma degli invasori salvatori sovietici. Infatti, secondo il nostro docente, anch’esso fu contrassegnato dalle stesse stigmate del linguaggio totalitario e burocratico che aveva connotato le modalità comunicative degli oppressori nazisti. Il 25 luglio del 1945 scrive: “devo cominciare a prestare una sistematica attenzione alla lingua del quarto Reich, che pare si differenzi da quella del terzo meno del dialetto sassone parlato a Dresda da quello di Lipsia” con sottile enfasi ironica.
Del resto, è difficile immaginare Kemplerer come il seguace entusiasta di un’ideologia, proprio perché la sua forma mentis è lontana da un’adesione fanatica, criptica e acritica ai dogmi ideologici. Leggendo i diari, si coglie il suo atteggiamento scettico, fatalista, intriso di umorismo ed autoironia. Inoltre, l’analisi del nazionalsocialismo e nazismo, condotta da Kemplerer nei suoi manoscritti, è incentrata essenzialmente sull’antisemitismo e l’ideologia razziale, per cui ci si deve forse chiedere fino a che punto tale prospettiva coincidesse con la teoria ufficiale del fascismo tedesco, che intendeva tale regime reazionario come un fenomeno politico ed economico e come conseguenza inevitabile del sistema capitalistico borghese. Dopo la guerra in Germania, interessano soprattutto i problemi relativi agli ex perseguitati politici, cioè gli appartenenti al partito comunista che, durante gli anni del nazismo, subirono persecuzioni. Un ebreo come Kemplerer, che, oltretutto, non fu neppure detenuto in un lager (questa fu la beffa!) subito dopo la guerra, infatti, apparve agli occhi di chi tornava da Auschwitz, come facente parte di un gruppo o ceto di ebrei privilegiati, a cui era comunque andata bene. In questo senso i diari di Kemplerer non interessavano molto, forse per questa prospettiva eminentemente ideologico razziale nell’analisi del nazismo della Germania Est, perché, nel dopoguerra, interessava soprattutto la questione dei perseguitati politici e non razziali. Inoltre, nella Germania Est, nonostante l’antifascismo contro l’ideologia di stato, fu operata una rielaborazione del regime nazista forse ancora meno positiva di quanto accadde nella Germania Ovest. Quindi, un’indagine del portato editoriale di questi diari, presuppone un’analisi,  e non semplice, da condurre, e una rielaborazione del nazismo nella Germania Est. Ostacolavano anche la pubblicazione di tali diari dei motivi ideologici. Solo dopo la caduta del muro di Berlino, e la conseguente riunificazione delle due Germanie, è stato possibile rendere pubbliche le annotazioni diaristiche di tale personaggio, che rappresentano una testimonianza straordinaria, sia per la profondità critica, sia per l’ampiezza di dettagli della vita quotidiana durante i totalitarismi ed i nazionalismi che lacerarono l’Europa, il mondo, e la Germania, nel 1900. Questi diari sono un documento straordinario, non solo per la letteratura, ma anche per testimoniare la shoah. Costituiscono un tentativo, più o meno consapevole, di strappare l’esistenza di individui comuni a quella perdita di identità e dignità e disgregazione dei valori dell’umanità, che costituiscono l’esito ineludibile dell’olocausto come di ogni pratica di intolleranza ideologica e razziale. Scrivendo, Kemplerer, salva innanzitutto sé stesso, e la “carta” redime frammenti di esistenza, ed attribuisce un senso vitale, prima che ogni significato si dissolva come fumo nel vento…per non dimenticare quant’altri compaiono con nome e cognome in questi diari, persone , individui.
La descrizione di Kemplerer precede di un passo il traguardo inevitabile dell’omologazione nella grande tragedia comune, che, infatti, è immediata e automatica nell’esperienza collettiva dell’olocausto. Kemplerer, per come emerge dalla sua produzione diaristica, appare un personaggio interessante, a volte scialbo, a volte addirittura meschino e incapace di passione, privo di emozioni. Tutto il coraggio di cui è capace, lo impiega nello scrivere giorno per giorno, nel raccontare ciò che vive e che vede. Ma la sua narrazione frammentaria è letterariamente efficace, proprio perché attenta e tesa a catturare i messaggi di cui egli è consapevole, e che le sintesi storiche non potranno comprendere. Registra dunque, con acribia e puntiglio, il percorso di quelle esistenze che si riducono via via a pura attesa a sospensione…
I diari sono lo sfondo ineluttabile di eventi che stanno per accadere, anche se non avvengono nell’immediato, di qualcosa di atroce che incombe, minaccia, ma ancora è altrove…è forse proprio questa la ragione del grande successo dei diari in Germania, soprattutto presso i giovani….con il suo dettagliato verbale Kemplerer restituisce a tutti, in particolare ai tedeschi, una possibilità di leggere e ripensare l’olocausto, di riconoscere la propria storia, ma, soprattutto, di cogliere il valore emblematico e paradigmatico, di sottolineare l’indicibilità di quella, come di ogni altra esperienza destrutturante per l’individuo e per la collettività. In questo crescendo monotono e fatale di spunti, note, appunti, in una nenia irresistibile e fredda, le grandi testimonianze di tutta la letteratura storica sullo sterminio nazifascista e nazionalsocialista, trovano un fondale naturale, una partitura per coro, capace di accogliere ogni sorta di ascolto…un assolo nel coro. 
©, 2003
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