INFORMAZIONI DI CARATTERE SCIENTIFICO SULLA BRIANZA
I confini della Brianza costituiscono indizi di ricerca importanti perché comprendono un territorio che possiede tre città rilevanti in Lombardia: Como, Lecco, Monza, un triangolo che sfronda a Nord nella Valassina e quindi finisce verso il territorio di Erba. I due grandi fiumi che delimitano la Brianza sono il Lambro e l’Adda e al centro scorre anche il Seveso che sembrerebbe il meno importante, ma, in realtà, è la componente che ha giocato un ruolo rilevante nella storia della parte bassa della nostra pianura, non solo briantea, ma della Provincia di Milano. Il Seveso diviso in due parti a Porta Comacina a Milano, in Seveso grande e Seveso piccolo, circondava la città di Milano che quindi aveva come difesa naturale d’acqua un fiume proveniente dalla zona brianzola o, meglio, dal territorio di Erba, dal punto che sfrondava più a Nord. Gli altri due fiumi confluiscono sempre a Milano e costituiscono la base del territorio proprio quando è terminato il grande sinus padanum, cioè il grande mare che entrava ed occupava un’apertura dell’Adriatico, fino alle falde delle montagne briantee e che nel periodo glaciale si è ritirato e si è riempito con lo scioglimento dei ghiacciai in fiumi.
Il deposito che a Milano si è arricchito nelle zone brianzole evidentemente più alte è stato minore. L’alluvione stessa, il lavorio dell’acqua di superficie ha messo in evidenza un paleosuolo, un territorio molto antico, addirittura marino, che a Milano risulta profondo invece, in Brianza, appare di superficie. La maggior parte del territorio è stata coperta dal grande mare nell’ultima glaciazione in cui compare la presenza marina e riappare la componente delle zone collinari circondate da zone lacustri. L’ultimo quaternario (100.000 anni fa) è il momento della glaciazione dopo di cui, 60.000 anni fa, compare l’uomo.
 
L’evoluzione umana in terra di Brianza: dalla lucertola al feto umano. I resti di Montevecchia e Barbabella
 
La presenza dell’uomo sulla terra ed in particolar modo in Brianza ha un precedente, una sua evoluzione. Nel grembo materno il feto umano ripercorre tutti i passaggi dell’evoluzione naturale, da una vita marina, in cui l’embrione dell’uomo e dello squalo, per esempio, non differiscono. All’inizio sussiste una concomitanza, quasi un’uguaglianza, una definita affinità nel momento in cui dal mare esce la vita e si generano animali che hanno parziale possibilità di vivere in ambiente marino o lacustre, ma anche cominciano ad essere anfibi.
Con la scimmia, nell’ultima evoluzione, avviene la separazione dalla specie umana. La nostra natura rivive nel grembo materno la formazione geologica e faunistica del creato: dalle prime creature marine ed anfibie, ai mammiferi per approdare all’uomo.
Gli animali che escono dall’acqua come la lucertola si rispecchiano nel feto umano. Ci si accorge di elementi molto vicini tra le caratteristiche somatiche della lucertola e del feto umano.
Ancora con un passo più avanti si arriva alla scimmia ed all’evoluzione ultima tra questa e l’uomo, in cui avviene la separazione evolutiva fatidica: la scimmia resta tale nelle varie sottospecie, tra cui si evolve l’uomo.
Questo passaggio va ricordato perché la nostra natura rivive nel grembo materno la formazione geologica e faunistica del creato. Dai primi esseri marini, alle creature che vivono parzialmente nell’acqua e poi anfibie, fino a quelle che vivono totalmente fuori dall’acqua ai mammiferi, come la scimmia e l’uomo. Allora l’uomo dove lo collochiamo?
Qual è la differenza ed in che modo avviene la differenziazione netta tra uomo e scimmia?
Per esempio con l’Australopithecus (pithecus= scimmia, dal Greco, Australis= che proviene da una parte dell’Africa che è compresa nel triangolo del Magreb) avviene appunto il primo mutamento tra la forma scimmiesca e quella umana. Fino a non molto tempo fa l’istituzione ecclesiastica, la Chiesa, rifiutava tale teoria evolutiva, introdotta sostanzialmente dallo scienziato Darwin, ma perché in genere rifiutava l’idea dell’evoluzione contrapposta alla genesi. Attestando l’idea dell’evoluzione anche un perfetto cattolico accoglie tranquillamente l’idea che ci possa essere stata un’affinità con la scimmia, perché il momento in cui avverrà la differenziazione scimmia/uomo, non è l’istante della separazione evolutiva ma è proprio il momento della creazione, del “fiat” divino, cioè un dio che progetta un’evoluzione, un cambiamento nel tempo e naturalmente nel suo immenso progetto accoglie, considera e comprende tutte le specie viventi, compreso l’uomo. Quindi il passaggio che avviene nel grembo materno è valido, ma è la transizione voluta da Dio, se ci professiamo credenti, al momento del “fiat” dell’universo. L’affinità o il momento del distacco avviene nella formazione del “piteco”, la scimmia. I Pitechi, cioè le scimmie, si distinguono dall’uomo soprattutto perché usano i quattro arti appoggiandoli per terra, mentre l’uomo si distingue per la posizione eretta. Ecco questo Homo Erectus è l’immediato antenato dell’uomo che per la prima volta noi troviamo in terra di Brianza. Questo è il processo dall’Homo Erectus che perfeziona un ampliamento sempre più capace delle sue potenzialità intellettive, fino ad arrivare all’Homo Sapiens. Ma tra L’Homo Erectus e l’Homo Sapiens si evolve l’uomo di Neanderthal. Un tipo di umanità che scomparirà perché possiede caratteristiche tali per cui non trova nel tempo la possibilità di generare e riprocrearsi: così si estinguerà. Questo uomo di Neanderthal lascia qualcosa in terra di Brianza e precisamente a Montevecchia in testimonianze di 60.000 anni fa, non necessariamente costituite da resti ossei, perché dal momento in cui si è staccato dalla scimmia come Homo Habilis (è il primo, il più antico ancora dell’Erectus) si distingue appunto come “abile” perché costruisce strumenti che gli sono utili e non li abbandona, non pratica un utilizzo momentaneo come la scimmia. L’uomo invece ha caratteristiche che consistono nel costruirsi strumenti e custodirli nella propria abitazione. Ora a Montevecchia in Brianza sono stati rinvenuti ben due accampamenti, cioè zone di capanne coperte di pelli di animali, a livello di resti, nel cui ambito, in tale ambiente di vita quotidiana ancestrale sono pervenute schegge lavorate, strumenti, simili a sassi lavorati risalenti a 61.000 anni fa di un periodo particolare paleolitico medio, in cui l’uomo di Neanderthal fa la sua comparsa in Brianza a Montevecchia e Barbabella. Mentre l’Homo Habilis che era anche erectus, aveva creato uno strumento particolare, un ciotolo che possedeva caratteristiche più raffinate e di precisione nei dettagli.
 
L’”Uomo che incomincia a sognare”…
 
Quindi a questo ambiente appartiene l’Habilis, mentre l’Erectus è quello che procede, va avanti, si evolve nella tecnica e compone un ciotolo appuntito chiamato “migdala” in periodo più antico (1.000.000 di anni fa) rispetto all’uomo che troviamo a Montevecchia, dove compare l’uomo che ha inventato un sistema strumentale veramente rivoluzionario. Se per gli altri strumenti occorreva un sasso solo per ottenere certi effetti sui materiali da trattare, l’uomo del Paleolitico Medio (da 60.000 a 40.000 anni fa) è una tipologia di uomo che impara da un ciotolo solo a dare colpi precisi per staccare delle lame e in modo da ritoccarle per fare una serie di strumenti con varie e determinate forme, per i più svariati utilizzi. Tali schegge lavorate ci testimoniano presenze paleolitiche umane, sempre a livello di Uomo di Neanderthal con i suoi strumenti che compare con i propri insediamenti anche in terra di Brianza. I ghiacciai 60.000 anni fa scendevano fino a Carate Brianza e a Merate come lame di ghiaccio, ma l’uomo si adattava e viveva adeguatamente probabilmente perché aveva trovato una situazione ambientale abbastanza sicura ricca di animali quali lo stambecco ed il cervo. L’uomo di Neanderthal che si estingue è comunque importantissimo perché risulta essere il primo essere umano che riesce a sognare, ad inventare sogni durante il sonno o la veglia. Come è possibile affermarlo? E’ il primo uomo che seppellisce i morti ed il seppellimento delle salme risulta, per la maggior parte degli studiosi antropologi, interpretato nel fatto che nel sogno il defunto riappare, ritorna, quindi la paura di tale evento e l’ansia che si impossessa del vivo al risveglio dal sonno, fa sì che senta la necessità di mettere il defunto dove possibilmente non possa più uscire, perché immagina di vederlo, pensa che sia vivo, che ritorni a vivere, anche se non ha coscienza piena del sogno, della facoltà di sognare, però è stato capace di sognare. Vale a dire che il cervello umano si è evoluto, l’intelligenza è progredita a tal punto che ha permesso all’uomo di percepire il sogno e questo evento lo allarma, lo spaventa, incutendogli paura così per evitare il ritorno dei morti li seppellisce con immensi tumuli di pietra insoverchiabili. A Montevecchia purtroppo non sono pervenute tombe, però il reperimento degli strumenti lo si lega all’uomo di Neanderthal che da un ciotolo ha imparato a ricavare schegge ed a costruire vari accessori ed ha imparato a distinguere i propri simili dal resto degli animali e a seppellire, in un primo tempo solo per la paura fomentata dal sogno, poi ampliando le sue conoscenze ed arricchendole di valori etico-morali, legati alla pratica di tumulazione. E nello stesso luogo brianteo compare l’uomo sapiens, 25.000 anni fa, documentato sempre nelle vicinanze dell’uomo di Neanderthal a Montevecchia. Ed anche questo insediamento doveva presentarsi come un recinto di pietra con una parte di copertura di pelli di animali. Un ambito di vita quotidiano in cui l’antenato prepara oggetti molto più sofisticati come punteruoli, lame, strumenti musicali, oggetti diversi che costituiscono una tecnica più evoluta rispetto alla precedente. Però l’uomo che discende dall’Homo Erectus al Sapiens ha decorato le grotte nella Francia del nord, di scene di caccia e conosceva l’arte e la tecnica manuali, artigianali delle piccole potnie, le statuette femminili, dove la grande madre ricordava la continuità della specie, la riproduzione, la creazione, nell’immagine della donna procreatrice e fertile. Tutto questo non è stato reperito a Montevecchia, rimangono solo gli strumenti: ed ora dove sono conservati?
La Brianza è stata scavata, perlustrata gradualmente da amatori appassionati di etnoantropologia come molte altre località e regioni dell’Italia settentrionale da gente piena di entusiasmo o anche magari da appassionati ricercatori che hanno raccolto materiale ma di esiguo valore di per se stesso se non accostato ad un progetto più dettagliato e più esteso, oggettistica che la Sovrintendenza ha purtroppo “seppellito” nelle cantine e negli archivi polverosi. Comunque sono rimaste testimonianze come quelle dello studioso Castelfranco che ha pubblicato interi manuali su tali reperti. Oppure alcuni resti è possibile osservarli in alcuni musei della Brianza, come nell’archivio Archeostorico del Museo di Biassono, nei pressi di Monza.
 
L’etimologia della terra di Brianza
 
Il nome Brianza possiede un’interessante etimologia (vale a dire l’origine antica del nome ed il suo significato) sotto due punti di vista perché ci permette di constatare come gli antichi abbiano considerato questa terra Briantea.
Il nome Brianza per gli antichi romani era da riportare ad uno dei generali al seguito delle truppe del comandante Belloveso, chiamato, appunto, Brianteo, che nel IV sec a.C. con ingenti truppe sono arrivati con gli Insubri in Italia settentrionale, fondando l’antica Mediolanum. Uno di questi condottieri, appunto, Brianteo si è stanziato nella nostra terra che  per questo motivo toponomastico prenderà il nome di Brianza.
Quale nome invece più antico gli storici romani attribuivano al territorio brianteo, pur legando anche l’idea che questa terra fosse stata degli Insubri e che quindi non andava negata l’opinione che questa Brianza fosse appunto degli Insubri e di questo generale Brianteo? Catone il Censore, un autore del II sec. a.C. sostiene, in un’opera ormai andata dispersa, Le Origines, opera importante in sette libri così fondamentale per la conoscenza della storia delle regioni dell’Italia antica, che Plinio il Vecchio di cui ci permane l’immane opera in 37 tomi consulterà per i suoi studi. Plinio il Vecchio, nato a Como nel 43a.C., nella Naturalis Historia, tratta della nostra regione Brianza, chiamandola Orobia, la terra degli Orobi, perché così Catone il Censore aveva definito la terra del piano di Erba cioè del nostro territorio di Brianza. Ed in particolare i Latini quando volevano denominare questa località, ne traducevano il nome con la denominazione di Montales, cioè l’Orobia degli Orobi (infatti dal Greco Oros=montagna e Bios=vita, quindi di conseguenza vita in montagna).
Il toponimo di questa terra è legato al IV secolo, con l’età del ferro, alla storia dei Celti.
Infatti gli antichi romani cominciavano la storia della Brianza dai Montales, agli Orobi, fino ai Celti ed ai Liguri ed agli Etruschi che verso la fine della loro civiltà si sono spinti a nord, portando anche il retaggio della scrittura, fino ad arrivare ai latini stessi. Questo passaggio di popolazioni e culture era noto ai Romani e così è stato a noi tramandato nell’etimologia del toponimo, vale a dire della denominazione del luogo stesso.
 
Note geologiche
 
Nella storia generale del territorio di Brianza occorre ricordare come pensiamo che si presentasse tale località dal punto di vista geologico che consiste in una delle questioni più difficili da commentare, da studiare e comunicare, perché riguarda una serie di analisi difficili da fronteggiare, in quanto trattasi di una terra non omogenea ed unitaria come la Pianura Padana, ma di una zona lacuale, collinare ed anche ,infine, pianeggiante. Per ognuna di queste zone esiste una formazione separata. Se nella zona Alpina e Prealpina si fa riferimento al periodo terziario delle grandi glaciazioni e trasformazioni montuose, per la zona collinare dobbiamo considerare il detrito accumulato  e per la zona lacuale allo scioglimento dei ghiacciai. Il momento della formazione dei laghi, dello scioglimento dei ghiacciai, costituisce un periodo terribile per l’uomo il mesolitico
Il mesolitismo esiste in Brianza ed è conosciuto attraverso non tanto il materiale raccolto o raccoglibile e reperibile e risulta determinato dalle formazioni geologiche stabilitesi in questo periodo. Il mesolitico avrebbe una buona documentazione nella celebre grotta briantea denominata ”il buco del piombo”, ma purtroppo gli scavi sono stati ripresi a tappe con reperti di materiale posteriore (epoca neolitica, età del ferro ecc…) per cui la ricerca è ancora affidata alla possibilità di trovare altri luoghi dove i reperti del mesolitico potrebbero, almeno intatti, tornare alla luce. Nella zona vicino ad Erba si è riscoperto qualcosa, ma a livello di strumenti molto piccoli, dalle esigue proporzioni per cui risulta difficile il riconoscimento e la datazione per un’eventuale archiviazione museale. Quindi la ricerca nel Mesolitico diventa sempre più difficile in Brianza ed ancora molto può essere recuperato con assidua e mirata ricerca.
INFORMAZIONI DI CARATTERE SCIENTIFICO E GENERALE RELATIVE AD ASPETTI ANTROPOLOGICI E GEOLOGICI DELLA TERRA DI BRIANZA
©, 2003
questa pagina contiene alcuni collegamenti esterni il cui contenuto informazioneecultura.it ha verificato solo al momento del loro inserimento; informazioneecultura.it non garantisce in alcun modo sulla qualità di tali collegamenti, qualora il loro contenuto fosse modificato in seguito.
Please follow and like us:

Leggi o lascia un commento (i commenti potrebbero contenere alcuni collegamenti esterni il cui contenuto informazioneecultura.it ha verificato solo al momento del loro inserimento; informazioneecultura.it non garantisce in alcun modo sulla qualità di tali collegamenti, qualora il loro contenuto fosse modificato in seguito)

Commenta
Inserisci il tuo nome