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…che silenzio ora il mondo degli ‘altri’ coperto di neve…!”
Frammenti di memoria, Silvia Lagorio
[1]Memoria, nobile deposito di ricordi del memore giovane o anziano, nella condizione esistenziale inesausta di ricerca e riflessione sul sé, intimo ambito individuale della psiche, in attività incessanti nel processo infinito del rimembrare.[2]
La memoria riconsegna un’identità al legittimo revisionista di se stesso attento e critico nel giudicare, rievocare la propria condizione dal passato nel presente, il processo di formazione, nell’evoluzione della propria storia di vissuti trascorsi. La memoria riconferma l’identità rendendole legittimamente verità, dignità, giustizia: pertanto una forte identità suffragata dal ricordo, tramite il racconto in relazione con gli altri, rievocativo degli eventi vissuti, rafforza la memoria individuale inserita tramite nessi interrelazionali, in una più ampia cerchia di ambiti e vissuti collettivi, che contribuiscono a determinare la Storia globale, la fiumana degli eventi nell’evoluzione dei tempi.
La memoria dell’individuo è intermittente, sbizzarrendosi nel sogno, spegnendosi nel sonno, così suscettibile all’oblio dei tempi epocali, di ere antiche o recenti.
Borges diceva “siamo la nostra memoria: un museo immaginario di forme mutevoli, un mucchio di specchi rotti…”.
Alla Memoria collettiva, invece, vorremmo chiedere di non essere intermittente né labile, ma sussistente, di non conoscere il sonno della ragione, di non imbizzarrire nel sogno allucinatorio e soprattutto di non divenire un nostalgico museo immaginario.
I “crateri spenti” della memoria individuale, li vorremmo sempre accesi nella memoria collettiva, che, potenzialmente così forte, si trascina una storia infinita di orribili, temibili manipolazioni.
Così ritorna alla mente una politica della memoria scritta da Orwell nel romanzo “1984”, dove si narra di un potere politico che quotidianamente ricostruisce la memoria falsificando date e testimonianze. Ne risulta una memoria perfetta, inoppugnabile, ma falsa, impedendo che qualsiasi frammento del passato possa sfuggire alla voracità del tempo: vengono abolite le incertezze, l’intrusione, la confusione, la dissonanza. La memoria falsa, menzognera del passato, diviene parte integrante del disegno politico dell’ignoranza. La memoria, custode del tempo, condanna perché è consapevolezza, da quando dal “vaso di Pandora” si sono riversati tutti i mali che affliggono gli uomini. Solo la speranza è rimasta sul fondo, perché se si fosse riversata con gli altri mali sarebbe risultata solo vana, vacua, futile.
Da allora, talvolta, anche l’oblio che Prometeo donò agli uomini, nel mito di Eschilo, sembrò un dono, prima ancora di dar loro il fuoco e di ammaestrarli nella techne e nelle arti.
Nel “Prometeo incatenato” di Eschilo, il protagonista dice “spensi all’uomo la vista della morte” e la Corifea chiede “che farmaco trovasti a questo male?” e lui risponde”seminai la speranza che non vede”.
Infatti, prima di Prometeo, gli uomini alla vista della morte subìta erano scettici e simili a larve di sogni; passavano il tempo abitando sotto la terra non rallegrati dal sole, in antri profondi. Anche tutti noi siamo frutto della “speranza che non vede”.
In un’epoca priva di certezze, di verità assolute, di individualizzazione dei destini in aride solitudini, in nevrosi metropolitane lancinanti, privi di senso e sentimento religioso ed ideologico, per recuperare un significato, il filo di Arianna nei labirintici meandri dell’esistenza, in un’epoca che forse crede allo spirito del tempo, esiste una memoria di verità?
I greci veneravano una divinità della memoria chiamata Mnemosine (dalla stessa radice di mimnesco, ricordare). Attribuire carattere divino alla figurazione astratta della memoria distingue la concezione greca di memoria da altre civiltà antiche.
La presenza di un Dio a sovrintendere alla memoria, significa ed implica la consapevolezza della funzione fondamentale del rimemorare come fattore di cultura e garanzia della storia dell’uomo che è posta sotto il volere della divinità.
In questa consapevolezza della funzione essenziale del rievocare, ricordare, rimembrare (rimemorare) rientra la definizione propriamente greca di due tipi di memoria: individuale e collettiva. Il poeta lirico Simonide vissuto nel VI sec a. C., figura nella tradizione, come inventore della mnemotecnica, ossia la capacità, sviluppata attraverso l’esercizio, di ritenere il ricordo. Si tratta di un’arte individuale del ricordare di un fenomeno soggettivo che è posto alle caratteristiche di intermittenza e frammentarietà. Ma per i Greci la memoria Mnemosine è soprattutto il carattere distintivo del gruppo, dell’ethnos, del popolo, suo elemento fondamentale di individuazione ed identità. Non è solo la Grecia a possedere una cultura fondata sul ricordo che procede dall’esperienza culturale.
La cultura della memoria è una condizione universale, seppure con diverse manifestazioni, ma nel mondo greco riveste una serie di particolarità che si integrano con l’altra prerogativa o auspicio di attribuire alla memoria non funzione di mera conservazione, ma di stimolo dinamico alla evoluzione del gruppo sociale e dell’umanità: la dimensione di memoria come fenomeno collettivo e portato culturale.
In Esiodo la dea Mnemosine è madre delle Muse alle quali appartiene la facoltà di dire ciò che è stato, che è e che sarà. Questa prerogativa, ereditata dalla madre, offre lo spunto per addentrarsi nel paradosso della memoria che legge il futuro.
Nell’Iliade, all’inizio del poema, nella contesa tra Achille ed Agamennone, viene chiamato in causa l’indovino Calcante che, secondo l’epiteto, il verso formulare, “conosce tutto ciò che è stato, che è e che sarà”. Cosa significa tale prerogativa appartenente all’indovino? In modo sorprendentemente incisivo la mente greca assimila l’indovino al poeta ispirato dalle Muse e quindi condivide le loro pertinenze e capacità. Entrambi, indovino e poeta, conoscono, per ispirazione della divinità Mnemosine, i nessi arcani del tempo, dell’eterno divenire, oltre la qualificazione specifica circoscritta del tempo stesso. Questa idea fondante ispira la concezione greca della memoria e la distingue da quella di altri popoli. La presenza di dei ed uomini partecipi della memoria narrata dalla figura del poeta coincide con l’intuizione greca. Come il poeta è partecipe di questa memoria da cui apprende non solo il passato ma anche le relazioni con il presente ed il futuro? L’intenzione fondante è l’idea del tempo come struttura del reale e all’interno di questa globalità e continuità del tempo si colloca il paradosso, il fenomeno che va oltre l’evidenza letterale. La memoria non dovrebbe essere il ricordo del passato, ma la memoria culturale e collettiva serve ad interpretare il presente ed a prevedere, progettare, decidere il futuro. La conoscenza del passato consente al gruppo, alla comunità, collettività e società, la globale ed omnicomprensiva progettazione del proprio sistema, non coercitivo, in senso mobile, dinamico suscettibile al cambiamento, alle transizioni. La memoria è il simbolo dinamico del flusso incessante, inesorabile del tempo: questo modello dinamico della memoria consente alla cultura greca la sua formidabile capacità di individuare i valori.
Possiamo identificare con maggior precisione la memoria greca mediante un’analisi sulla pertinenza della rievocazione, narrazione tradizionale orale tramandata in generazioni, anche presso altri popoli antichi per quanto riguarda la concezione del ricordo. In Erodoto si dice che i sacerdoti egiziani conservavano la memoria di 341 generazioni precedenti, ossia oltre 11.000 anni, rinfacciando ironicamente ad Erodoto, loro interlocutore la breve ritrascrizione della memoria dei Greci alle cui genealogie bastavano 16 generazioni per giungere all’inizio dei tempi, al loro termine superiore. Si tratta di un computo ovviamente irreale, rivelando le sostanziali differenze che l’immagine della memoria collettiva egiziana e greca ha di se stessa.
Questo lungo lasso di tempo conferito alla memoria consente ai sacerdoti egiziani un’affermazione cruciale: in tutto questo tempo nulla è cambiato, tutto è statico e fermo al punto di partenza, nella notte dei tempi. La memoria è garanzia, per la mente egiziana, di immobilità, staticità, di stabilità politica, di garanzia dello Stato, di inconfutabilità del sistema e con esso di gerarchie prevaricatrici, norme arbitrarie, tradizioni ottuse e tabù religiosi. Nel mondo ebraico il rituale rappresenta la memoria degli eventi, come, ad esempio, il banchetto ricorda la circostanza dell’esodo e la norma affidata alla memoria, vale come certezza della presenza di Dio nella Storia a protezione del popolo eletto.La memoria è intesa come un valore religioso e garanzia di religione, diventando strumento di difesa della propria identità e cultura etnica, di resistenza contro gli attentati a questa solida identità.
Ma anche in tal caso si tratta di una memoria immobile affidata per definizione a strumenti immutabili come il rituale e la norma. Il confronto con la Grecia rivela una flagrante diversità. Questa memoria immobile e statica si trova in opposizione a quella dinamica, organizzata lungo le tre dimensioni temporali della cultura greca.
Nel mondo egizio ed ebraico la memoria rappresenta un arresto del passato che si vuole identico al presente. Invece per i greci la memoria risulta uno strumento per rinnovare il presente, migliorarlo alla luce degli errori del passato: è una memoria che paradossalmente invade il futuro. Ma la complessità della cultura greca ha inventato anche il mito dell’oblio. E’ noto l’episodio di Ulisse che rifiuta la dimenticanza, il cibo del loto che lo costringerebbe a scordare l’aspirazione al ritorno, l’anelito alla patria, il tesoro costituito dal valore del proprio passato, vissuto continuamente nel ricordo, motore, stimolo, vascello dell’erranza inesausta. Ma il mito dell’oblio è ambivalente. In un carme di Pindaro troviamo, in una serie successiva, due strane dimenticanze benedette. Nell’ordine cronologico gli dei quando divisero tra di loro la terra, dimenticarono tra i pretendenti il dio Sole, Elios, che non aveva tralasciato fortunatamente di compiere il suo abituale giro intorno all’orbis terrarum. Lo dimenticarono per una strana ed incomprensibile colpa. Quando se ne accorsero proposero ad Elios, il dio del Sole, di rifare il sorteggio delle parti del mondo. Elios rifiutò, non per l’offesa, ma perché vedeva sorgere come un fiore, dal fondo del mare, un’isola, la rosa, “rodon” (Rodi) che desiderava avere come propria, legittima e spettante parte del mondo. Così la dimenticanza degli dei è una benedizione per Elios, per Rodi, per il mondo che si orna di questa nuova meraviglia. In seguito si racconta che quando Atena nacque per un prodigioso colpo di martello, di scure di Efesto sulla testa di Zeus i rodiesi avvertiti dal fausto evento si recarono sulla cima del monte più alto, celebrando un rito con sacrifici di propiziazione e ringraziamento, ma dimenticarono il fuoco e quindi furono costretti a compiere sacrifici senza sangue. Gli dei perdonarono loro i sacrifici incruenti e con essi la dimenticanza…Atena donò ai Rodiesi la più prestigiosa delle proprie armi: la capacità di scolpire e fondere statue meravigliose che sembravano camminare da sole per le strade dell’isola.
Tale mito è narrato da Pindaro molto prima che nell’isola si fondesse la più famosa statua dell’antichità: il Colosso di Rodi.Quindi la memoria che precorre i tempi come tipologia della mente greca e la dimenticanza e l’oblio si risolvono in un auspicio propizio, in una benedizione…Tale mito va naturalmente letto in chiave di metafora. Significa che la memoria deve avere una funzione selettiva, deve acquisire la capacità di dimenticare…per poter creare il nuovo, il cambiamento, la trasformazione, il rinnovamento. Il modello greco della memoria confuta l’immobilità e la persistenza totale del ricordo, la definitiva ed inconfutabile verità della norma statale o religiosa. La memoria serve a stabilizzare e a sistemare il passato in un quadro globale, d’insieme della concezione greca dell’universo che risultò a sua volta dinamico, diveniente, in trasformazione.
I miti delle cinque età in Esiodo e della successione dei re divini Urano, Crono e Zeus, inseriscono anche nel patrimonio mitico, nella relativa storia sacra e leggendaria, che per i greci è il mito, la mitologia della trasformazione proteiforme, del mutamento.
Per i greci la memoria è un sistema d’identità che si realizza attraverso il divenire, la trasformazione. Occorreva tuttavia trovare un punto di equilibrio tra queste due forze: la memoria come persistenza, la memoria come trasformazione. Questo punto d’equilibrio fu segnato forse dall’invenzione della scrittura. Anche gli altri popoli possiedono un sistema grafico, ma se ne servono per registrare dati e fatti e avvenimenti accaduti oppure norme prefissate, stabilite, ratificate. Presso gli altri popoli la scrittura è la redazione del documento che arresta il fluire del tempo, ma è casuale ed indiscriminato, la memoria greca è invece selettiva ed affida la “ricerca del tempo perduto” alla letteratura che è programmata e selettiva. Per questo comprendiamo perché Esiodo, nella più remota antichità greca, aveva intuito nel poeta colui che conosce i nessi arcani che dal passato si collegano al presente ed al futuro.
Il mondo greco inventa il sistema della letteratura come entità autonoma realizzando il presagio di quei poeti antichissimi, Omero ed Esiodo, che vedevano nelle Muse, figlie di Mnemosine, il tramite tra passato, presente e futuro. Il portato culturale, l’eredità storica, lo stimolo attivo nella cultura Europea risultano fattori fondati dalla letteratura greca, come entità autonoma che possiede un fine interno a se stessa. Se confrontiamo l’efficacia dell’eredità greca con quella babilonese, fenicia, persiana etrusca, egizia notiamo che è il popolo che possedette la letteratura per antonomasia, il popolo greco e quello latino, che da questo punto di vista è una diretta filiazione della cultura greca, quello che pone il fondamento di una permanenza che dura ancora oggi perchè intuisce i nessi che legano la memoria al passato, al presente, al futuro.
Tra i vari eventi dell’inizio del millennio, il 27 Gennaio scorso si è celebrato “Il giorno della memoria” per ricordare la Shoah, il volto crudele di “Auschwitz”. La memoria può sconfiggere il male che tuttora si annida nella società in cui viviamo, e le si riconosce un valore terapeutico in quanto dotata della capacità di vincere quella malattia sociale definita”indifferenza”, perché reca in sé la capacità di rimuovere quei presupposti anticulturali ed antimorali che hanno permesso che la Shoah venisse pensata, organizzata e compiuta sistematicamente.
“La memoria ci aiuta a ricordare in silenzio” recita l’Ecclesiaste, in quanto esiste un tempo per tacere ed un tempo per parlare. La memoria incita a testimoniare pronunciando ad alta voce la verità, perché intrattiene un rapporto privilegiato con la storia. Le Goff in “Storia e memoria”[3], citando S. Agostino, sostiene che il nostro presente possiede tre dimensioni del passato, del presente, del futuro.
Il sentimento del passato ed il presentimento del futuro coesistono, risultano compresenti nella coscienza del nostro sentire e pensare quotidiano. Prima che oggetto delle neuroscienze e della psicologia, la memoria rappresenta un grande patrimonio individuale e collettivo, riconosciuto come tale dal senso comune.
Una disgrazia per l’uomo è sprofondare con la mente nell’oblio, perché senza memoria l’individuo è fortemente diminuito nella propria personalità. Altrettanto può dirsi di una collettività che senza il ricordo rimemorativo risulta evidentemente minorata nella propria identità culturale e storica. Dunque tra storia e memoria il tertium datum è l’oblio, ma anche il perdono con scopo anamnestico, per riscattare una memoria dimenticata dall’indifferenza generale.
Il mito della dimenticanza consiste nella ratifica simbolica della necessità di selezione della memoria.
La memoria documentaria è discriminata, quella letteraria è selettiva e fonda il futuro perché non è necessario ricordare tutto, ma solo ciò che è importante, per cui la memoria culturale deve essere selettiva per essere produttiva, fondando un sistema di valori non basato sulla totalità indifferenziata, ma sulla selezione, la scelta, dettata dagli ideali dai valori, norme condivise da un determinato popolo. Il mito dell’oblio appartiene alla cultura greca nella dimensione di forte capacità di astrarre i valori per poterli rifondare. Le altre civiltà conservano i valori e rendono la memoria conservativa globale, omnicomprensiva, mentre la memoria greca non risulta conservativa, ma dinamica, per cui il ricordo narrato, tramandato, cantato non scompare ma risulta legato all’evento associato ad una gamma di emozioni suscitate dall’evento stesso. Quanto della memoria individuale si deposita in quella collettiva rappresenta una possibilità molto limitata, perché ogni ricordo personale consegna e trasmette pensieri, emozioni, stati d’animo selettivamente alla memoria collettiva, in grado di recepire le “biblioteche viventi”, gli empsucoi bibliotecoi (come il Cardinale Federico Borromeo chiamava gli anziani operatori della sua cerchia culturale che intessevano rapporti interistituzionali per lo sviluppo del sapere), la narrazione di ricordi delle vite degli anziani, legittimi depositari di un più lungo passato. I Greci hanno inventato strumenti per esorcizzare i dolori della morte, le sofferenze, tra cui l’oblio, la dimenticanza…
Probabilmente anche i luoghi dell’educazione, le agenzie culturali preposte all’educazione operanti all’interno del sistema formativo attuale, in primis, la scuola dovrebbero abituare il giovane a recuperare la memoria collettiva, culturale, popolare, appartenente ad un contesto nazionale con comuni e condivisibili valori ed ideali, attraverso un rinnovato rapporto con l’anziano, testimone vivente degli eventi bellici che hanno coinvolto i nostri popoli a livello mondiale, per cui risulta utile ristabilire il dialogo la relazione tra generazioni portatrici di valori, di ideali, fautrici di rivendicazioni e conquiste a tutti i livelli del sociale, riscattando la nazione dalle tenebre dei conflitti armati e civili, dalle dittature, dagli imperialismi, dal terrore riconsegnando alle genti la libertà ed il pluriverso della democrazia..
La memoria collettiva deve andare di pari passo con il ricordo rimemorativo individuale con la presa di coscienza di possedere una personalità inserita nel mondo, attrice protagonista della Storia dei tempi, degli eventi intessuti da uomini, attraverso il recupero della dignità della narrazione del sé, tramite il discorso autobiografico, nel raccontare stabilendo interrelazioni amicali con l’altro, in un tessuto sociale degenerato dal consumismo, dalla competitività, dai disvalori dell’economico, imposti dal sistema capitalistico omologante. All’interno del mondo scolastico l’autobiografia andrebbe utilizzata come metodo pedagogico basilare alternativo ai messaggi consumistici imposti dall’alto a cui sono sottoposti anche inconsapevolmente i giovani. Quindi una pedagogia della memoria alternativa, di analisi sulla propria esistenza, infanzia, sui ricordi, emozioni, stati d’animo legati a particolari eventi del processo evolutivo formativo di crescita, in controtendenza rispetto alla scuola che si preoccupa solo del numero di nozioni, dove l’informazione spesso è solo rumore.
Quel prezioso “filo di Arianna”, conduttore, guida alla ricerca di senso nel labirintico vortice degli eventi della vita, che ognuno di noi ricerca per tornare indietro, lo si acquisisce da bambini con l’abitudine, l’incitamento a ricordare, a narrare di sé. La pedagogia della memoria parte da un’esigenza insita nel nucleo familiare dove è richiesta la narrazione degli eventi quotidiani ricollegabili al passato. In controtendenza al ruolo dell’educazione scolastica oggi si tende a privilegiare non una storia per eventi nel senso del perenne fluire degli avvenimenti, dei fatti, delle cose, come sosteneva Eraclito, ma una storia per problemi e questioni, in modo diacronico, imposto dalla frenesia dei massmedia. Dal contesto degli eventi i problemi emergono per necessità intrinseca, nel raccordo antitetico tra valore del ricordo della memoria e civiltà dei consumi tendente a bruciare il passato ed il presente che immediatamente in continuo moto di accelerazione e di efficientistica selettività si trasformano in passato da dimenticare ed archiviare.
Lo stimolo della produzione su larga scala, i ritmi frenetici del consumo, le asfittiche ritualità narcisistiche, individualistiche, solipsistiche ed egotiche quotidiane, costringono all’annientamento di ogni forma di memoria, di sopravvivenza di oggetti, sentimenti, affetti, miti, forme amicali disinteressate di comunicazione tra simili per imporre sempre nuovi modelli vincenti di sfrenato arrivismo ed abusivismo. Da questo punto di vista la scuola potrebbe mettere in pratica una nobile funzione in opposizione alternativa all’asfittica ideologia dominante, prevaricante: il senso del paradosso consiste nel pericolo che l’accelerazione del tempo prodotto dal consumismo elimini la consapevolezza del valore e dignità del passato individuale e collettivo.
L’educazione alla consapevolezza del ricordo deve cercare strumenti raffinati educativi che agevolino la riscoperta del piacere del ritorno sul proprio sé. Autobiografia non è narcisismo, forse coscienza dura, autocoscienza, rammarico stimolo al cambiamento, perché il ricordo si innesta tra gli interstizi dell’interiorità e non ci abbandona. Se è vero che la memoria è custode del tempo non possiamo pensare di ricordare eliminando il tempo e la storia per come si è svolta in verità, senza rinunciare alle speranze di verità, di obiettività degli eventi, nel rispetto della pace mondiale, interetnica, tra popoli. La speranza va conservata ed alimentata dal ricordo per continuare a credere nell’”intima bontà dell’uomo”, perché è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della guerra, della distruzione, della miseria, della confusione…il mondo muta lentamente, forse riuscirà ad allontanare, con il desiderio di pace, lo spettro dei conflitti, tramite la memoria rievocatrice degli eventi, partecipando alla passione del Cristo ed al dolore degli uomini, perché la storia è un progresso positivo che volge al bene, rinnovandosi alla pace, per cui anche la spietata durezza dei conflitti cesserà e ritorneranno l’ordine, la pace, la serenità, inducendo la pietosa emozione del silenzio interiore, serbando nella memoria la liberazione fiduciosa e serena, la bontà coraggiosa che supera la morte tramite l’azione nobile del ricordare il passato…il valore etico del sentimento della pietas sublima la ferita che il tempo infligge all’esistenza emancipata dal senso che conserva il passato, che rende l’uomo responsabile dell’azione nel passato, come protagonista delle storie individuali, inserite nei plurimi contesti collettivi della Storia globale, in divenire, nell’evoluzione dei tempi.
[1] Relazione tratta da un seminario del convegno VIDAS 2001 “La Memoria”, relatori D. Del Corno e G. Cosmacini
[2] P. Jedlowski, Memoria, Clueb 1997
[3] J. Le Goff, Storia e memoria, Torino, Einaudi, 1982
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