CONTRIBUTO DELLE DONNE AL PROGRESSO DELLA CULTURA
 
Definizione di cultura: espressione e processo del pensiero, della presa di coscienza attraverso le esperienze e le manifestazioni del riflettere, agire, comunicare. Rielaborazione teorica dell’esperienza, ma anche insieme di  pensieri ed atteggiamenti dominanti e dei relativi comportamenti singoli o collettivi. Se questa definizione è condivisibile il secondo passo è quello di individuare quale sia stato (se vi è stato) il contributo delle donne alla formazione delle linee culturali che oggi possiamo indicare come prevalenti e  caratterizzan­ti, in un certo modo, il nostro vivere associato. Poniamo due  punti:
  1. la pari dignità dell’uomo e della donna sono oggi formalmente fuori discussione;
  2. il riconoscimento della soggettività femminile invece manca; ciò rende soltanto formale, il generale riconoscimento della pari dignità.
Riconoscere la soggettività della donna corrisponde a riconoscere anche la differenza: la pari dignità non viene stabilita sulla base di una omogeneizzazione dei due sessi, ma sulla identificazione della differenza come valore. Non si vuole qui fare l’elogio del pensiero della differenza sessuale (che è comunque un momento alto della partecipazio­ne femminile all’elaborazione culturale) ma  sottolineare ancora una volta che la rilevazione della differenza sessua­le come positività dà diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze (etnica, culturale appunto, ma anche di età, di salute, di stato sociale ecc.). Ciò sembra importante soprattutto in un momento in cui le differenze etniche-culturali stanno spaccando nazioni, anche da lungo tempo costruite sull’unione di etnie diverse,  in tanti piccoli satelliti.
Significato di cultura
Quando si parla di cultura il legame che immediatamente opera nell’immaginario delle donne comuni è con il sostantivo “insegnante”. Il termine “Cultura”, per la maggior parte delle donne è messo in rapporto con i paludamenti  accademici. Non ci si rende conto di “fare cultura” anche nella quotidianità della vita. Quindi “cultura” recepita genericamente sembrerebbe tutt’al­tro che insensibile alla differenza come valore. Ma le donne devono cambiare atteggiamento smettere il senso di inferio­rità che ancora  coglie le più semplici   (che  quindi  si ritengono al di fuori).
Uno dei motivi per cui la donna è anche penalizzata, è che ancora attualmente “cultura” sembra far paio unicamente con razionalità. Nella scuola il progetto  formativo dovrebbe tendere a formare la persona, cioè un’entità complessa. In realtà ancora oggi tendiamo a formare unicamente delle teste, dimenticandoci  del cuore,  cioè dell’importanza dei sentimenti pure accanto ai ragionamenti. La diversità femminile dovrebbe contribuire pesantemente a fare recuperare l’unità, non soltanto allora  nell’immagine, ma soprattutto nella formazione. La donna deve esprimere la sua diversità, non annullarsi,  a vantaggio anche dell’uomo  dello stesso pensiero.
Un po’ di storia a ritroso nel tempo.
Dopo gli anni 60 la cultura ed  il costume cambiano in favore della donna, e la donna affronta con più serenità il confronto con le differenze anche in campo sessuale. Era l’epoca in cui si deponeva per sempre il grembiule nero ed il  colletto bianco per indossare anche nei  posti di lavoro, pratici pantaloni.
Le donne partecipano agli avvenimenti del 68 ma sono dedite per la maggiore alle vettovaglie ed ai ciclostili; venivano chiamate “angeli dei ciclostili”, ma le rivoluzioni politi­che erano gestite dagli uomini.
Esce nel 1963 l’enciclica “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII° che  sottolinea “l’ingresso della donna nella vita pubblica” come uno dei “segni dei  tempi” insieme alla questione giovanile ed alla questione operaia. E’ una prima; importante indicazione della sollecitudine della Chiesa per le novità della storia ed in essa della storia femminile. Sempre nel 1963 la legislazione italiana emana importanti provvedimenti a favore delle donne: il primo, datato 9 gennaio 1963, a portata storica e la legge che impone divieto di licenziare le  lavoratrici per cause di matrimonio; è una svolta del costume. Il lavoro professionale è messo sullo stesso piano, anziché sul piano inferiore della famiglia. Il 9 febbraio un altro provvedimento storico: le donne sono ammesse per legge a tutti i pubblici uffici ed a tutte le professioni con l’abrogazione della legge di memoria fascista che impediva alle donne di insegnare lettere e filosofia nei licei.
Gli anni 70 segnano uno spartiacque nella vita delle donne. Continua la strategia della tensione; sul fronte femminile sono anni di grande risveglio e vedono il nascere dei primi gruppi di autogestione caratterizzati da un rigido separati­smo degli uomini.
Nel 1975 vanno al varo le leggi di tutela della famiglia e del lavoro nonché quelle in materia di divorzio ed aborto. Tina Anselmi, deputata veneta e promotrice della legge 903 diventa ministro del lavoro ed è la prima donna che  si occupa della parità tra uomini e donne in materia di lavoro. E’ voglia di  carriera, non più segretaria del capo. Con l’emancipazione concessa dal voto, il riconoscimento della parità è da considerarsi conquistato a tutti gli effetti.
Parte un ponte fra il femminismo di matrice laico-marxista e la novità del Vangelo e ci si pone una domanda: il vange­lo, il cristianesimo, non hanno nulla  da dire a proposito del movimento delle donne?
La Chiesa è davvero la nemica numero due delle donne?
Così era emersa all’epoca un’inchiesta eseguita dalla DOXA per conto della SKELL.
Il rapporto Chiesa-donne in quegli anni è molto importante. La Santa sede istituisce una commissione di studio circa la funzione della donna nella società e nella Chiesa. Paolo VI fa un’esortazione apostolica: “marialis cultus”, con riferi­menti significativi a Maria in rapporto alla condizione della donna in contesti e culture diverse.
Il 1975 è pure l’anno internazionale della donna decretata dall’O.N.U..
Si apre ufficialmente a Città del Messico il decennio dedicato alla donna, una  delegazione vaticana ufficialmente ne prende parte.
Ma il terrorismo imperversa viene ucciso Aldo Moro. Nelle file delle Brigate Rosse militano anche donne e le donne sono vittime anche indirette come Giorgiana  Masi della lotta armata.
Le donne negli anni 80 sono cambiate, profondi cambiamenti emergono nella condizione della donna. Basta con gli slogan. “le streghe son tornate” del primo femminismo che minacciava gli uomini. Pare che il neofemminismo sia  destinato al tramonto, ma non è così: un fuoco nuovo cova sotto la cenere, alcune donne in carriera vestono abiti del divino Armani e frequentano sempre  più facoltà di economia e commercio. Nel 1985 a Nairobi si tiene la chiusura della conferenze mondiale del decennio dedicato alla donna.
Proposte di riflessione e impegno
 
Bisogna tradurre nel linguaggio vitale dell’esperienza quotidiana la coscienza che ciascuno, uomo o donna che sia, è un “valore”. Una coscienza che deve cominciare da sé: senza autostima non è possibile stimare gli altri.
Rapporti interpersonali soddisfacenti non si costruiscono dal nulla, vanno  “voluti”, se desideriamo evitare la negatività del conflitto. La mancanza di coscienza di se e di autostima non permettono di volere questi rapporti.
Occorre che noi donne codifichiamo la nostra identità. Per le donne che non hanno ancora una propria identità storica, ossia una genealogia femminile, che  è tutta ancora da scoprire, la semplice contrapposizione, inevitabilmente conflittuale tra maschile e femminile, piuttosto che creativa appare  paralizzante  perché sproporzionalmente asimmetrica. Come uscirne? Una soluzione atipica è,  ancora una volta assolutamente non prevista dalla storia della filosofia tradizionale, è quella che dà Luisa Muraro nel “recupero del senso di appartenenza alla propria genealogia e nella riconquista della gratitudine esistenziale verso chi ci ha dato la vita: la madre. La presa di coscienza di se si gioca, così nel riconoscimento e nell’amore”.
Occorre anche tenere a portata di mano uno strumento delica­to potente: l’ironia nella forma soprattutto dell’autoironia. L’ironia come forma indiretta ed obliqua di comunicazione e di parziale soluzione creativa del conflitto; l’autoironia non come resa apparente, come apparente accettazione parziale del dominio dell’altro, ma in realtà come risposta libera e riaffermazione della padronanza di sé. L’ironia come esperienza ludica, soluzione gioiosa del conflitto.
Un lungo cammino ci attende, uomini e donne finalmente insieme in novità di vita: ed a giudicarlo è la speranza.
©, 2003
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