LO SMARTPHONE DANNEGGIA IL NOSTRO CERVELLO
LO SMARTPHONE DANNEGGIA IL NOSTRO CERVELLO
Se partiamo dal presupposto che l’apprendimento, sin dai primi anni di vita, deriva da un continuo esercizio mnemonico, e che le emozioni, solo se sapientemente dosate, aiutano a fissare nella memoria i contenuti dell’apprendimento, il web, oggigiorno, sta raffigurando una pericolosa deriva per le menti, non solo dei più giovani, ma anche di molti adulti.
La presenza contemporanea e illimitata di svariati contenuti, spesso di bassa qualità, nel web, facilita la non concentrazione, il passaggio veloce (che non fissa il contenuto nella memoria) da una pagina all’altra, in una insoddisfatta ricerca di qualcosa di appagante (fenomeno che, un tempo, nell’era televisiva, con l’avvento del telecomando, si chiamava zapping). Il web, presentando contenuti pressoché uniformi, per lo più scadenti, in contemporanea, sempre disponibili in qualsiasi momento del giorno e della notte, alimenta un’impulsività insoddisfatta. Un’impulsività che si autoalimenta, in quanto non raggiunge l’appagamento.
Agisce più sulle emozioni immediate, che non sul sostrato cognitivo profondo della nostra mente.
Sempre più persone, anche molti adulti, lamentano oggigiorno l’incapacità di stare più di dieci minuti per volta su di un libro (cartaceo). Il libro cartaceo impone un regime di concentrazione cui molti non sono più abituati, non riescono più a tollerare.

L’essere umano non è nato per leggere, ma per fare molte altre cose. La lettura, filogeneticamente, è una acquisizione molto recente, e perciò fragile, che ha bisogno di essere allenata. Altrimenti si atrofizza, come un muscolo poco allenato.
Peccato. Perché il vero apprendimento può avvenire solo sul libro cartaceo, in quanto esso possiede, nella sua essenza di oggetto, le qualità di un mezzo che, da millenni, è risultato l’unico capace di generare apprendimento. La pagina del libro cartaceo, non presentando ipertesti, vincola il lettore su di sé, “intrappola” (ma nel senso buono, necessario all’apprendimento!) la sua concentrazione su di sé, arroga a sé il diritto di essere letta, assaporata, meditata. Sta dilagando una sindrome da distraibilità, che è foriera di mancanza di apprendimento, di lesione permanente delle abilità cognitive, di perdita di interessi, che possono portare a isolamento, psicosi, disadattamento sociale.
Il destino della lettura nell’era digitale è in serio pericolo. La visione esclusiva di immagini danneggia e atrofizza il nostro cervello. La lettura profonda è un’abitudine che stiamo perdendo. Il cervello che legge è intrinsecamente malleabile. I fattori che lo influenzano sono ciò che leggiamo, ovvero, il sistema di scrittura e il contenuto, come leggiamo, ovvero, un testo stampato o su uno schermo digitale, e come impariamo a leggere. La lettura profonda è un processo che coinvolge tutto il nostro cervello.
Si tratta di un’attività totalizzante ed esclusiva. Essa si svolge nel giro di pochi secondi nelle nostre sinapsi, e trasforma le informazioni in conoscenza analitica. Solo dopo la strutturazione della conoscenza, entrano in campo le emozioni.
Stiamo attraversando una fase storica che non ha ancora deciso che strada prendere, a metà tra la vecchia carta stampata e gli schermi di computer, tablet e telefoni. Non è velo che si legga meno. Si legge di più, e male, siamo sopraffatti dalle informazioni: l’individuo medio consuma, passando da un dispositivo all’altro, 34 gigabyte al giorno di contenuti, l’equivalente di circa 100mila parole, l’equivalente di un romanzo lungo. Ma siamo sempre più incapaci, sovrastati dalla massa delle informazioni da internet e distratti da mille stimoli digitali, di trovare la calma e la forza, la pazienza cognitiva, di affrontare letture lunghe e lente. Stiamo rinunciano alla conoscenza, e ci stiamo ingozzando di emozioni passeggere. Stiamo perdendo la capacità di riflettere, siamo diventati delle cavallette. Leggendo su uno schermo luminoso, ricordiamo meno dettagli, la comprensione è inferiore. Benché, come mostrano alcune ricerche, si abbia magari la sensazione di sapere di più. Quanti, fra vent’anni, sapranno più scrivere un romanzo? Il linguaggio impoverito dei blog, questi esperimenti al limite del demenziale di libri-partecipati, scritti in contemporanea da più scrittori che manco si conoscono, ma interagiscono su sedicenti piattaforme multimediali, non insegnano a stare sul pezzo, a sopportare la sofferenza solitaria di un vero atto creativo, come da secoli, millenni, avviene. Così avviene anche per la lettura.

©, 2017

 

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