DEDICA ALLA MONTAGNA verso i Piani di Bobbio
Il sentiero saliva dolcemente tra boschi di castagni, verso i Piani di Bobbio, dove la nebbia della sera si impigliava fra i rami, e in lontananza velava la cima del Grignone. Una sera tiepida di novembre, con un accenno di neve ghiacciata sui prati. La luce dorata del tramonto filtrava nelle foglie, il profumo della terra umida e fumante saliva dai campi. Un muggito e il suono di un campanaccio tinteggiavano il silenzio, rotto dai nostri respiri, dai nostri passi e dal picchiettare dei bastoncini da sci sul sentiero sassoso. Presto sarebbe calata la notte, una notte stellata e gelida, e le cime dei Piani di Bobbio sarebbero apparse nel loro argenteo nitore notturno. Il torrente gorgogliava lontano, coi suoi bordi orlati di ghiaccio. Si saliva all’albergo abbandonato, il Pequeno, nostro rifugio gratuito e frugale, con il passo lento dovuto ai pesanti zaini. Avremmo preparato una minestra calda col fornelletto a gas, avremmo mangiato del buon salame di Brianza, che il mio amico aveva preso da un parente con la fattoria, e pane fresco, comprato giù in paese, e avremmo dormito, sprofondati nei sacchi a pelo, nei letti a castello delle vecchie stanze ormai fatiscenti, senza finestre e dai muri crepati.
L’atmosfera invernale dei Piani di Bobbio – sullo sfondo lo Zuccone Campelli

 

L’indomani avremmo fatto tre o quattro brevi salite sullo Zuccone Campelli, tanto per allenarci sul calcare e respirare l’aria pulita della montagna. Avremmo scattato tante belle fotografie, con questo cielo limpido, laccato, sul quale le cime innevate si stagliavano come coni gelato. La Valsassina si stendeva sotto di noi, antica e impervia. Terra di lunghe e lontane tradizioni, di chiesette affrescate e montagne bellissime. Boschi e rocce, gente tranquilla. Buon formaggio stagionato in grotta. Consolazione di tutti i miei sabati e le mie domeniche, meta finale di ogni settimana, trascorsa sui banchi di scuola a sognare, in ultima fila, la montagna. I voti, quell’ultimo anno, stavano calando. La mia concentrazione scolastica stava avendo una notevole flessione. Ero totalmente rapito dalla montagna. Odiavo il mondo terreno, cittadino, e rinascevo solo al contatto con la roccia. In città mi sentivo finito, mi sentivo morire, asfissiato dalla finitezza, dai pochi orizzonti, dallo studio di una materia che non mi piaceva. Quale amara esperienza quei cinque anni di lavori forzati, di scuole superiori, senza speranza, senza scampo. Solo la montagna rincuorava il mio spirito. E gli amici che avevo lassù.
©, 2003

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