SHUNGA Arte ed Eros nel Giappone del periodo Edo 
Al visitatore di questa mostra può sorgere spontaneo un interrogativo. Lo stesso interrogativo che assilla le moderne filosofie da qualche tempo. Cosa distingue questa forma di arte Shunga da ciò che più comunemente in Occidente chiamiamo “pornografia”? Quale sarebbe stato il risultato, in quei lontani secoli antichi, se gli artisti giapponesi dell’arte Shunga avessero disposto di macchine fotografiche, anziché di pennelli, nel ritrarre amanti in pose esplicite? Non sarebbe stato un risultato sovrapponibile a quello delle immagini che comunemente, e con disprezzo, chiamiamo “pornografiche”? A farci prendere le distanze da questa concezione svilente del corpo, a rassicurarci che ciò che stiamo vedendo non è pornografia, ma arte, interviene il tempo, l’enorme distanza che c’è tra gli Shunga e il mondo contemporaneo, e la tecnica a mano dell’Opera. Forse un po’ ci scoccia ammettere che questa altro non è che la pornografia dell’epoca Edo, che, essendo dell’epoca Edo appunto, si sottrae ad un giudizio che ci farebbe passare per dei morbosi guardoni dei giorni Nostri.
Ammettiamo pure che questa sia una delle più sublimi forme artistiche di tutti i tempi. Infatti, a colpirci, è la raffinatezza del tocco pittorico, la grazia infinita dei corpi distesi nel piacere amoroso, che non ci fa percepire alcunché di volgare. Gli artisti Shunga seppero descrivere le espressioni degli amanti con poesia, svuotando la scena di ciò che di animalesco può esserci nell’essere umano, dando la rappresentazione di una sensualità quasi eterea, e perciò molto distante dalla più reale, forse diremmo pornografica, rappresentazione drammatica della sessualità.
(…) la shunga è un’opera d’arte a soggetto erotico ma di un erotismo sottile, mai morboso, e immune dal senso del peccato. Nel confronto con la nostra pornografia, queste immagini hanno una loro castità che è assenza del vizio, del turpe (Sigfrido Bartolini – La grande impostura – Polistampa, 2003).
Se la psicanalisi ha descritto la scena primaria, ovvero, l’accoppiamento dei genitori, come qualcosa di altamente traumatico per il bambino, ci sono alcuni Shunga, in questa mostra, che raffigurano amanti nell’atto sessuale in presenza del loro figlio neonato, aggrappato al corpo della madre, o inserito all’interno dell’intreccio dei loro corpi, quasi a voler affermare una totale estraneità della sessualità a una concezione che possa deviare i sentimenti pur anche di un bambino. Siamo in presenza, quindi, di una visione del sesso molto distante, se non del tutto estranea, a quella occidentale. Sesso più che altro rappresentato, come su una scena teatrale, ma che sembra non vissuto dalle parti in gioco. Forse per questo accettiamo queste immagini, e siamo portati a non considerarle pornografiche. Il mistero si fa alto ed estetizzante in questa raccolta molto preziosa di immagini, che testimonia di una civiltà edonistica borghese che, al tempo dei Samurai (veri detentori del potere politico) aveva saputo dare voce alla classe mercantile con una filosofia del piacere personale e individuale,  dell’appagamento, estraneo ai rigidi precetti confuciani, promuovendo uno stile di vita raffinato che, in letteratura, ebbe un contraltare nei cosiddetti “romanzi del mondo fluttuante”, ad opera di scrittori come Ihara Saikaku e Ejima Kiseki.
SHUNGA Arte ed Eros nel Giappone del periodo Edo
Milano – Palazzo Reale, 21 ottobre 2009 – 31 gennaio 2010
Catalogo: Mazzotta
 
©, 2009
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